Regia di Sharon Maguire vedi scheda film
Mi si nota di più se vado o se non vado? O mi si nota di più se vado e sto appartato?, diceva più o meno Nanni Moretti in uno dei suoi film, riassumendo un’ansia che almeno una volta nella vita ha colto tutti. Bene, state certi che vi si nota di più se andate mascherati a un garden party dal quale è stato tolto “in maschera da prostitute e prelati” all’ultimo momento, e solo voi e pochi altri non siete stati avvisati. E vi aggirate tra ragazze sofisticate in chiffon floreale o nero calvinista con il vostro pagliaccetto di raso e le vostre orecchie di pelouche da coniglietta di Playboy, tentando invano di nascondere con il tovagliolo il sedere abbondante e scoperto. Voi e il vostro padre anziano e disgraziato che si è messo il clergyman, o il suo amico, seduto su una panchina dietro un cespuglio, che ha speso molto di più perché ha noleggiato un costume purpureo da cardinale. È una delle scene più divertenti di “Il diario di Bridget Jones”, il film diretto da Sharon Maguire, che è la Shazza, una delle amiche del cuore, della storia di Helen Fielding, che invece è naturalmente Bridget (lo è tanto che, ai tempi del casting, in Inghilterra correva la voce che volesse addirittura interpretare la protagonista, anche se non ne aveva più l’età). Non un film di regia, certo; la Maguire fa il suo mestiere mettendosi al servizio del libro e, soprattutto, dei suoi personaggi, senza dimostrare un particolare talento comico. Ma in questo caso il materiale basta a se stesso. Le delusioni, i chili di troppo, gli ettolitri di vino bianco e le tonnellate di junk food ingurgitati in solitudine o tra la nevrotica complicità delle amiche, le silenziose lotte con un telefono che non suona e forse è guasto e comunque è meglio portarselo sotto la doccia per non correre il rischio di non sentirlo, i pigiami con le pecore e i mutandoni di tipo ascellare, se cuciti bene insieme bastano e avanzano per fare una commedia svagata e felice sulla “singlitudine” e la ricerca dell’uomo giusto. Soprattutto quando ci sono tre attori in stato di grazia come l’irresistibile Renée Zellweger, quel bastardo di Hugh Grant e il “darcyano”, austeniano, stupefatto Colin Firth, che finalmente rivela anche da noi il suo fascino.
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