Regia di Danis Tanovic vedi scheda film
"Piacere, mi chiamo Nino". In trincea a nessuno gliene frega niente di fare la conoscenza di Nino, soldato serbo per caso, per caso capitato in una trincea nella terra di nessuno che divide le truppe bosniache da quelle serbe. Non gliene frega niente al militare bosniaco che ingaggia con lui un confronto destinato a un tragico epilogo. Non gliene frega niente neppure agli alti gradi di comando, che impartiscono ordini a casaccio dal comodo delle loro postazioni. E gliene frega ancora meno a una giornalista d'assalto inglese (Cartlidge, qui al suo ultimo film), il cui unico scopo è quello di impacchettare un reportage più granguignolesco possibile. L'unico che vorrebbe fare qualcosa per rimediare alla situazione sulla quale convergono tutte queste figure - un soldato bosniaco è stato poggiato su una mina a pressione: togliendo il peso del suo corpo, salterà tutto in aria nel raggio di trenta metri - è un comandante dei caschi blu delle Nazioni Unite, che rimane tuttavia impotente davanti a quella folle tragedia.
Il bosniaco Tanovic rilegge il sanguinario e interminabile conflitto che i suoi connazionali hanno vissuto contro i serbi secondo la dialettica del confronto tra singoli. Memore della lezione di John Boorman (Duello nel Pacifico) che vedeva contrapposti un soldato americano ad uno giapponese in un atollo del Pacifico, Tanovic mette a nudo l'assurdità della guerra, l'esasperazione di un conflitto che tocca risvolti grotteschi e puerili ("Siete stati voi a cominciare la guerra!" "No, siete stati voi!"). L'asimmetria dei poteri, lo sciacallaggio dei media e il senso di non appartenenza sono i perni sui quali Tanovic edifica una sceneggiatura asciutta, refrattaria a qualsiasi fora di spettacolarizzazione della guerra, tutta orientata da un afflato di altissimo spessore morale e non a caso vincitrice della Palma d'oro al Festival di Cannes.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta