Regia di Babak Payami vedi scheda film
Raye Makhfi” (“Il voto è segreto”) conferma la regola secondo cui i film belli sono solo opere prime o seconde, e quelli dei vecchi sono proprio tanto vecchi. Ne può conseguire anche che i giovani invecchiano subito, ma su Babak Payami siamo pronti a scommettere perché, oltre che un vero regista, ci sembra un egregio “pensatore”. Cos’è infatti il suo film, coi liberi modi di un’opera aperta e sulla base di un delicato racconto sul rapporto tra due persone diverse tra loro nel giro intenso degli incontri di una giornata, se non un trattatello politico-filosofico su un tema fondamentale? Il tema è il rapporto tra “arretratezza” e “modernità”, tra un modello di potere e stato tradizionale (oppressivo, militare) e la democrazia (un’invenzione occidentale: cosa può diventare in quei contesti)? L’importanza della riflessione di Payami, o diciamo meglio della sua “ottica” (e oltretutto Payami è un regista che conosce perfettamente il valore delle immagini) risiede nell’originalità del punto di vista, che è decisamente non occidentale e non illuminista, che è diverso dalle riflessioni sull’argomento dei nostri classici. Su un’isola un militare deve accompagnare una ragazza in vesti tradizionali e con urna appresso, che deve convincere a votare gli sparsi isolani. È arrivata la democrazia, ma le libere elezioni obbligano a scegliere tra dieci candidati stabiliti altrove. La varietà delle situazioni segue con autonomia le suggestioni dei grandi scrittori che fanno scivolare il realistico nel fantastico, e il film non è una parabola, non è un pamphlet, non è un trattato, è un vero racconto aperto che rimanda (con leggerezza) a uno dei maggiori dilemmi del nostro tempo. Ed è un modo nuovo di essere del cinema iraniano: né miniature né “pezzi di vita vera”.
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