Regia di Babak Payami vedi scheda film
Discreto epigono kiarostamiano, che riprende dal maestro Abbas l'assoluta trasparenza espositiva, il minimalismo, l'ambiguità fra finzione e realtà, l'esplorazione dell'arido territorio persiano come mezzo di conoscenza della realtà. I due giovani protagonisti di questo film hanno la stessa funzione dell'uomo e del bambino di "E la vita continua": quelli attraversavano un Iran messo in ginocchio dal terremoto, questi lo stesso popolo alle prese con i dubbi e le speranze della democrazia, in entrambi i casi vettori di un approccio più vicino all'inchiesta giornalistica che al racconto. Ne consegue una scarsa, quando non inesistente, evoluzione psicologica dei personaggi, ma d'altra parte non era questo l'intento dell'autore, visto il suo esplicito sguardo distaccato (tra Brecht e Beckett, lambendo il grottesco senza cadervi). Chiaramente Payami non è Kiarostami e la fine dialettica del maestro lascia il posto ad un didascalismo meno fertile, affine a quello di Mohsen Makhmalbaf. Ma ciò non impedisce al regista di far passare, attraverso una vicenda così lineare, con grazia rosselliniana, un lucido discorso sulle contraddizioni del Medio Oriente contemporaneo, dal ruolo della donna a quello della religione, dai problemi della miseria a quelli della scarsa alfabetizzazione.
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