Regia di Michael Haneke vedi scheda film
Premessa: Michael Haneke è un bravo regista, ma ha trovato una maniera di se stesso che lo rende riconoscibile e, forse, gli dà sicurezza. In un film di Billy Wilder - tanto per citare un altro viennese - siamo sicuri che si ride; in un film di Haneke sappiamo che prima o poi verremo presi a pizzicotti. “Funny Games”, in questo senso, era un capolavoro. “La pianista” è invece un pizzicotto fin troppo programmato, la cui sgradevolezza appare studiata a tavolino. Mentre seguiamo la vicenda di Erika, maestra di piano legnosa e super-borghese corteggiata dal giovane e talentoso Walter, capiamo immediatamente che sotto l’apparenza gelida la donna cova un fuoco di perversioni. Così, la scena madre (nella quale Erika detta a Walter le proprie condizioni: un rapporto fatto di sesso sado/maso e violenza) non è davvero una sorpresa. Rimane la forza innegabile di un film in cui le melodie di Schubert e Beethoven commentano le scappatelle di Erika (dal conservatorio al porno-shop) e la prova sovrumana di Isabelle Huppert, ormai d’ufficio nell’empireo delle dive. Due obiezioni: il Trio di Schubert (lo stesso di “Barry Lyndon”) è ormai inflazionato al cinema, e il premio cannense al giovane Benoît Magimel è davvero un’esagerazione.
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