Regia di Michael Haneke vedi scheda film
Questo si può definire un film palindromo, infatti il suo "messaggio" si può leggere anche al contrario:essendo un film volutamente tragico, proprio per questo, risulta involontariamente comico.
La pellicola in questione vince l'ultimo Cannes e incontra le grazie della presidentessa Liv Ullmann, regista, ex moglie ma perenne musa del maestro Ingmar Bergman. E non mi stupisco del favore della Ullmann... nonostante il maestro svedese abbia collezionato capolavori e cervellotici labirinti cinematografici, tutte le sue opere sono segnate, anzi, solcate, da uno psicologismo d'accademia che si può ricondurre alla ormai tradizione artistico culturale che ha fondato di fatto il Novecento, e cioè la Secessione austriaca, con un certo signor Freud protagonista, indiscusso, di un nuovo modo di vedere il mondo... allora, però... oggi, dovrebbe essere superato da una visione sfaccettata dell'essere umano, e non solo psicoanalitica.
Non mi stupisco di certo - ripeto - che la Ullmann abbia perciò votato e sostenuto un film didascalico del genere.
Noioso e moralistico in alcuni momenti, già visto e scontatissimo in altri.
La parte positiva, si risolve in un ripasso da scuole medie del già di per sé pedante e superato studio sulla sindrome di Dr. J. e Mr. H. lo sdoppiamento della personalità; la scissione dell'io, la così definita “schizofrenia” è l'ago della bilancia di un film austriaco che –ripeto per sottolinearlo - muove i passi sulle orme impolverate della fu Secessione patria di cent'anni fa, riuscendo ad arenarsi per cui credo, per questo, che il film si possa vedere anzitutto comico e non per la semplice definizione “tragicomico”, purtroppo perché la situazione tende a scadere nella macchietta, la pur brava Isabelle Huppert (protagonista femminile) si divide in situazioni che hanno nei manuali ormai superati delle “categorie” del dottor Freud, il loro oggi fioco faro.
Sentivo, quindi, il disagio di essere preso in giro, di dover dati per scontati troppi studi e argomentazioni serie in merito. Più volte mi è venuta voglia di uscire dalla sala ma ho voluto pensare questo film come un lavoro serio, e ciò prevaleva; mi sarebbe infatti piaciuto essermi sbagliato alla fine, e dire soddisfatto: “Hanno preso per il deretano cent’anni di pregiudizio mascherato da scienza psicologica, bravo Haneke!”. Ed invece no. Tempo sprecato a sperare e guardare la pessima interpretazione del protagonista maschile con un’espressività facciale degna d’una cernia morta (Premio a Cannes per la migliore interpretazione maschile, palma d'oro!). Il sesso e le sue zone psicotiche e primitive, in fusione con la violenza e autolesionismo, sono protagonisti assoluti del filmino: la pianista è divisa, o meglio, scissa in una personalità istituzionale molto razionale, senza alcun difetto degno di nota, con corollario di una MADRE gelosa e possessiva (!) interpretata da una gloria della cinematografia mondiale Annie Girardot, spero strapagata, qui come unica presenza degna di nota dal punto di vista umano del personaggio, ed ho detto tutto sugli altri (addirittura: l’adulta pianista borghese e il suo post-adolescente amante borghese). Credo che l’ubriacatura da analisi (secondo manuale) della realtà, di una mente umana schizoide, sia degna di un rispetto molto più ampio, ad un confronto con la pur movimentata, infanzia edipea del simpatico ma pur troppo sintetico dottor Freud. La critica alla società borghese è annegata dietro ad asfissianti stereotipie acquisite da cent’anni di errori, ipotesi e conquiste della “scienza dell’anima”, stereotipie che non scalfiscono di un millesimo l’ormai tradizione sessantottarda di critica borghese, che non è altro che un vezzo della borghesia stessa, dunque dietro la critica si cela nient’altro che un complimento e un vanto per i propri vizi, ma che essendo vizi per borghesi colti, e tendenti alla sofisticazione sono confinabili a pochi eletti seppur sfigati e corrotti, una sorta di “Maledizione” classica da decadentismo dannunziano.
Arte e sregolatezza… e balle di 'sto tipo, che mi piacevano tanto a quattordici anni. Malattie mentali vere; repressioni e autolesionismo sessuale sono cose purtroppo ben più ordinarie di quanto Haneke, e suoi fan borghesi “scandalizzati” possano lontanamente immaginare.
Purtroppo investono anche la casalinga per nulla interessante nella sua grigia esistenza proletaria. Badate voi tre che siete arrivati fin qui, la mia – a scanso di facili equivoci – non è una semplice accusa classista, anche se mi piacerebbe tanto, la mia recensione ripeto crede di essere una critica cinematografica, stop. Rischierei anzitutto di fare lo stesso errore di Haneke: qualunquismo a buon mercato. Credo che il rispetto per ciò che si parla elevi un prodotto di comunicazione sia esso cinema, letteratura, reportage giornalistico… dal macchiettismo, ed elevi senz’altro le idee, sempre se ce ne siano a disposizione.
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