Regia di John Singleton vedi scheda film
Che visione atroce che ci dà John Singleton degli afroamericani, maschi e femmine. Ovviamente il tasto del grottesco tragico è battuto in maniera più insistente sui maschi (ché chiamarli uomini sarebbe un complimento), immaturi (non solo boy, ragazzo, ma anche baby, bambino), mammoni, schiavi dei soldi e dei simboli del lusso (la macchina), incapaci di controllare i propri impulsi (il protagonista ha avuto due figli da due ragazze diverse e continua a vivere con la mamma), e schiavi della violenza al solo scopo di dimostrare di "avere le palle", cioè di "essere uomini". Ma le donne (tutte un po' troppo belle, per la verità), secondo Singleton, non stanno poi tanto meglio, più mature e consapevoli, disposte ad assumersi delle responsabilità, quanto meno nei confronti dei propri figli, e desiderose di farsi una famiglia, ma anch'esse in fin dei conti asservite a quei pigri mangiapane a ufo dei loro uomini, i quali le dominano con l'arma del sesso, come mostra bene la scena della telefonata di Yvette con l'amica Sharika. Qualche maschietto mette la testa a posto dopo l'esperienza del carcere (Melvin, in parte lo stesso Jody), mentre qualcun altro si dimostra veramente irrecuperabile, come l'odioso Rodney.
"Baby Boy" (il sottotitolo italiano "pasoliniano" è ancora una volta fuorviante) non è un gran film, ma nemmeno la schifezza che l'ha giudicata, fra gli altri, Mereghetti. Il finale idilliaco sta un po' a testimoniare che probabilmente a un certo punto il regista - sceneggiatore non sapeva più da che parte andare a parare, oppure che è caduto vittima della produzione. Va però detto che Singleton sa come girare una storia del genere e pur senza scomodare nomi ingombranti come Cassavetes o Spike Lee (del quale Singleton è meno pop e meno inquietante), si può affermare che "Baby Boy" è un film che si può vedere senza noia e senza vergogna.
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