Regia di François Ozon vedi scheda film
Fassbinder non mi è mai piaciuto. All'interno del nuovo cinema tedesco era il regista che trovavo più indigesto, considerandolo sempre la retroguardia dell'avanguardia, l'esponente di un cinema post-brechtiano da latex e fumosi locali da suburra. Figuriamoci adesso, con un suo vecchio copione ambientato negli anni '70 e mai rappresentato, che a distanza di un trentennio risulta quanto mai anacronistico. Alla sua seconda prova di regia, il francese Ozon, dopo avere picchiato duro con Sitcom, decide di bissare il colpo riprendendo un progetto del maestro (con la minuscola), lasciandone inalterata l'ambientazione e ricordandoci quanto meschini e infelici possano essere gli uomini.
La vicenda, che si svolge in quattro atti tutta all'interno della stessa casa e di un rigidissimo impianto teatrale, ruota intorno a una coppia stonata fin dall'inizio: un 50enne prestante (Giraudeau) e un ventenne dalla sessualità incerta (Zidi), alla fine entrambi bisex. I due iniziano una relazione, quindi una convivenza. Col tempo i rapporti si guastano, ricompaiono le rispettive compagne di una volta (quella del signore di mezza età è un uomo che ha cambiato sesso; la ragazzetta del più giovane è Ludivine Seigner, corpo di inesplicabile perfezione), l'incontro sembra si stia per trasformare in un'orgia ma ne esce un dramma.
Ozon spinge sul registro grottesco senza riuscire a essere davvero provocatorio e ripetendoci quanto travaglio ci possa essere nella vita di coppia e nel chiuso della relazione, inserendo anche un inutile balletto e trovate registiche che sembrano la brutta copia di un incrocio tra Rohmer e Resnais.
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