Regia di Michael Cristofer vedi scheda film
Il film si apre con un dettaglio delle esagerate labbra di Angelina Jolie che è la mantide, la dark babe del film e colei che narra di Julia e Luis (Banderas). Jolie è in prigione in attesa di essere giustiziata e racconta di una Cuba di fine ’800, festante e profumata dall’aroma del caffè, di come si sia sostituita a Julia, promessa sposa di Luis, e abbia ingannato, derubato e invischiato nei gorghi (naturalmente torbidissimi) della passione il marito. Julia è un’orfanella plagiata da un altro trovatello che la sfrutta e le incide la morbida schiena con un coltello. Una soap, con perversioni standard, che tradisce una forte percezione pubblicitaria della narrazione. Michael Cristofer è più uno sceneggiatore con un’immaginazione passiva (suoi i copioni di “Le streghe di Eastwick”, “Innamorarsi”, “Il falò delle vanità”) che un regista. Gli preme mettere in fila le scene, imbastire la storia con logica orizzontale, abborracciando il doppio finale. Il romanzo a cui si ispira, “Waltz into Darkness” di Cornell Woolrich (lo stesso usato da Truffaut per “La mia droga si chiama Julie”), è la spezia per insaporire il capriccio (non male) di mettere Banderas e Jolie nello stesso film e nello stesso letto.
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