Regia di Elio Petri vedi scheda film
Elio Petri rappresenta la mafia siciliana di provincia, in un ritratto tra denuncia e sconforto.
È secondo me uno dei migliori film di mafia, subito dopo “Il giorno della civetta”, e pur con qualche smagliatura, anzi due. Una è il finale, che mi è sembrato un po' compiaciuto nel suo cinismo, cioè nel suo insinuare l'invincibilità della mafia, dopo averne denunciata la brutalità. L'altra smagliatura è una prospettiva di osservazione marcatamente comunista; non viene mai esplicitata del tutto, ma spesso allusa.
A parte questo, la pellicola è solida e coinvolgente, aiutata dalle belle musiche malinconiche di Bakalov, che degenerano, però nel finale (di nuovo quello...). La regia è sapiente e inventiva: le inquadrature sono indovinate, i movimenti di macchina pertinenti, e si fa ricorso ad un opportuno e moderato uso della soggettiva e della macchina a mano. Volonté dà una buona interpretazione ricca di sfumature, anche se un paio di volte si lascia andare ad atteggiamenti scorbutici che, secondo me, non appartengono a lui e al personaggio. Irene Papas, invece, è la perfetta vedova dalle belle gambe e dalla chioma ammaliante, che infatti fa perdere fermezza e coerenza all'improvvisato investigatore. Ho trovato bravo anche Ferzetti.
Ritengo riuscita anche la rappresentazione del microcosmo siciliano, tra mafiosi, fiancheggiatori, e pavidi popolani. L'omertà affligge tutti coloro che mafiosi non sono, anche se qualcuno (come un paio di preti) danno qualche imbeccata al protagonista, pure senza prenderne completamente le parti. Taglienti e indovinati, infine, sono i dialoghi dei mafiosi, e le loro minacce mascherate da commenti buttati là.
Tutto sommato, un esempio di cinema sociale e di mafia da tenere presente, soprattutto per la sua sobrietà e antispettacolarità.
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