Regia di Mario Monicelli vedi scheda film
"Monicelli ha capito il romanzo di Berto." Titolava così la recensione de "Il male oscuro", su "La Nazione", ventisei anni fa, scritta da Sergio Frosali: il romanzo vinse il Campiello e il Viareggio nel 1964 , e Mario Monicelli ne trasse un film, coprodotto tra Italia e Francia, venticinque anni più tardi, sulla crisi che coglie uno sceneggiatore a nevrosi continua, che si perde tra due donne, una matura, l'altra giovanissima, una crisi d'ispirazione lunghissima, un romanzo sempre da definire, e l'età che avanza. Del libro è stato detto che era di traduzione assai ostica, considerando che si risolve in una sorta di flusso di coscienza, con un uso particolare di periodi e punteggiatura: il film, che è una produzione accurata, ha il merito di intavolare un discorso benintenzionato sulla depressione e sulle implicazioni psicanalitiche che comporta, ma risente, forse, di una fase in cui il cinema italiano ammiccava fin troppo al formato televisivo, probabilmente per cercare una via d'uscita ad uno stallo che da una decina d'anni lo aveva spesso limitato. Il problema è che tempi e montaggio, ad esempio, fanno somigliare il lungometraggio ad un film per la tv o ad uno sceneggiato, pur con diversi nomi di buona caratura in gioco: certo non aiuta film e regista un Giancarlo Giannini esagitato, con una prova artificiosa, quasi mai del tutto credibile, così come di pura rappresentanza appare l'amante Stefania Sandrelli. Monicelli rende bene gli attacchi di panico del protagonista, con le sue visioni distorte ed impaurite, ma non tiene bene il registro della storia, che a volte pare un dramma trattato con fin troppa leggerezza, altre una commedia amara e con parti drammatiche acute. Meglio nelle intenzioni, che nello svolgimento.
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