The Munsters segna il ritorno in regia del cantante ed apprezzato regista horror Rob Zombie che si manifesta attraverso un adattamento della omonima e comicamente macabra serie televisiva americana datata 1964.
Una sorta di comicità horror in stile Famiglia Addams, a noi italiani probabilmente molto più nota, che consente al cineasta di ritrovare gli scenari suoi consoni, ma di travasarli sul lato umoristico in un frangente in cui, ironia a parte a volte presente e pur sagace nelle sue più riuscite opere, effettivamente era sempre venuto a mancare.
La storia di
The Munsters, è una sorta di prequel, rispetto al vecchio originale televisivo, che consente a Zombie di presentare ad un pubblico poco avvezzo per età e localizzazione, gli eccentrici personaggi che compongono il parterre scenico.
Un tranquillo, latente orrore familiare
La vicenda racconta di una famiglia di mostri che si trova costretta a trasferirsi dalla Transilvania in un sobborgo americano.
Herman Munster è un essere imponente creato dal dottor Frankenstein; sua moglie Lily è una vampira ultracentenaria che si crede ragazzina e tende a cedere alle lusinghe di chi non le rimane indifferente.
Il figlio della coppia, Eddie è un lupo mannaro spendaccione e senza arte né parte che il padre intende diseredare; la loro nipote Marilyn è, invece, una ragazza apparentemente normale….si fa per dire.
La capacità di mostrarsi mostruosi è una caratteristica soggettiva, al punto che la famiglia in questione è convinta di essere sulla via della normalità e che tutti coloro che li circondano siano dei personaggi da paura, così come le abitudini quotidiane che li occupano.
La storia, esattamente come la serie originale, attinge a piene mani dall’immaginario orrorifico e si condisce di un umorismo civettuolo e un po’ puerile, che Zombie dimostra di non saper gestire, né nei ritmi, né tantomeno nella costruzione delle scene, tutte posticce e degne di un modesto show televisivo per ragazzi di poche pretese.
Il cast, modesto e goffamente camuffato, non aiuta a raddrizzare le sorti di uno spettacolo lungo e risaputo, dalle vicende un po’ ripetitive e non proprio originali, e che suscita indifferenza già oltrepassato il primo quarto d’ora.
Nel parterre coinvolto, composto di nomi poco noti e comunque quasi completamente celati nelle eccentriche sembianze che li descrivono, spicca almeno l’attrice feticcio e consorte del regista, ovvero Sheri Moon Zombie.
La bella signora Zombie si rivela in effetti l’unico elemento veramente prezioso di una compagnia attoriale un po’ farlocca.
Per Rob Zombie, peraltro avvezzo ai remake o alle rivisitazioni, come avvenne nei primi anni ’10 con il non scontato successo artistico dei due Halloween, il film costituisce un po’ una falsa ripartenza, e probabilmente molti tra i suoi fans più accaniti si staranno augurando che il talentuoso signore dell’horror contemporaneo si riappropri di quel clima serio illuminato da sprazzi di lucida e crudele ironia, in cui l’autore ha sempre saputo eccellere, primeggiare e rivelarsi un grande in molte occasioni, rifuggendo certe tentazioni da commedia comica che mal si adattano al proprio stile di cinema.
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