Regia di Vasilis Katsoupis vedi scheda film
La trama è presto detta, il resto un po’ meno. Nemo (Nessuno, quindi Willem Defoe) irrompe nell’attico di un grattacielo contenente tante opere d’arte, per rapinare alcuni dipinti fra cui un mitico autoritratto di Schiele. Un problema con il sistema di sicurezza, e si ritrova chiuso in questa gabbia di lusso senza trovare uscita, con la temperatura che sale o scende alternativamente per un danno al sistema di condizionamento. Il film è tutto composto dai piccoli gesti di Defoe, che cerca vie di fuga mentre vede il mondo fuori scorrere e sparire: la finestra, le camere di sorveglianza del resto del palazzo, le opere d’arte stesse. La sua crescente disperazione sarà la scintilla per attivare la sua creatività, su tanti fronti diversi.
Il regista greco Vasilis Katsoupis non riesce a gestire i tempi del suo thriller da camera, ripetendo più volte le stesse suggestioni e suggerendo, tramite un commento sonoro abbastanza ingombrante, il senso di follia che pervade Nemo. Ça va sans dire: lui diventa una figura archetipica, un Dafoe dentro Defoe, Robinson Crusoe della modernità artificiale, vittima di un lusso incosciente; la casa diventa un non-luogo, che cambia conformazione tanto più Nemo la distrugge e la rimodella, perché “non c’è creazione senza distruzione”; i suoi sforzi per fuggire diventano essi stessi opera d’arte, fuori dalla presunta superficialità dell’arte contemporanea e invece risultato di un reale sentimento e di una reale disperazione. Un’arte “utile”, artigiana, necessaria. Tutto un discorso bacchettone che il film di Katsoupis, freddo, elegante e ripetitivo, non si può davvero permettere.
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