Regia di Taika Waititi vedi scheda film
Taika Waititi non è uno che non ci sa fare, difatti già con "JoJo Rabbitt" aveva saputo dimostrare di riuscire quasi a convincerti, su cose a cui non sei assolutamente d'accordo anzi quasi nauseato, come l'obbligatorietà ormai vomitevole dell'anti-nazismo e anti-germanesimo nei film sulla WWII, perché è un regista molto bravo nei suoi affondi emotivi, e che sa confezionare sequenze emozionanti bene unite alla musica. E anche in questo caso grazie a Michael Giacchino, un film in fondo delle cose "etto" e leggerino, guadagna parecchi punti di sensibilità.
Certo, per chi come me è appassionato di calcio "minorissimo", e collezionista di tutte le maglie del mondo di nazionali, con particolare attenzione proprio a quelle delle piccole isole e arcipelaghi dell'Oceania, era una visione obbligata e un "must" assoluto. Oltretutto già conoscevo la storia di Thomas Rontgen e avevo visto il documentario sulla vicenda di 10 anni fa. Romanzata poi, ma per gli standard hollywoodisti nemmeno tanto, poiché Waititi ha saputo conservare o ritrovare come qui-dopo i due soliti "cinecirchi" marvelliani, che non ho visto-, una certa "freschezza" di sguardo e ironia tipicamente maori e del cinema neozelandese che sempre aveva nei precedenti film, fin dal corto "Two Cars, One Night".
Non manca l'obbligatorietà della propugnazione dell"'inclusività" transgender, attraverso il personaggio di Jaliyah, il personaggio del giocatore che assume ormoni e in attesa di operarsi per cambiare sesso-storia vera facente parte dei fatti accaduti-, però nell'ambito di una microsocietà isolana che non ha le contraddizioni e le ingiustizie/disparità della nostra a spese della maggioranza "di chi non è" come certe minoranze, e in una maniera non violenta e ideologicamente intollerante, integralista, come sarebbe avvenuto ad esempio se la produzione fosse stata quella di certe megaproduzioni hollywoodiste, e questa non lo è.
Anche il modo di veicolare questi "messaggi" che oramai sono una "cappa" di pensiero conforme e auto-consideratosi "moralmente superiore" è come nello stile abile di Waititi, leggero e senza prendersi troppo sul serio, o pensosamente "gravoso" e ricattatorio, quindi fortunatamente quasi non te ne accorgi.
Fassbender ossigenato è bravo, e il suo monologo finale negli spogliatoi su quello che veramente lo muove e "smuove" per le sue ultime tragiche vicissitudini di vita, è uno dei momenti più inaspettati ma non per chi conosce la storia, ed efficaci del film. Oltretutto perché con la consueta ironia di Waititi ti fa sorgere il dubbio che la tragedia sia inventata data la spregiudicatezza del personaggio, e inosservanza alle convenzioni esistenti, per smuovere davvero i giocatori al secondo tempo.
Invece chi conosce la storia vera personale di Rontgen, sa che è vera.
Scontata la parte musicale di canzoni, addirittura ci sono i Tears for Tears, per ovvio richiamo "geek" quindi di ipersfruttamento nei suoi livelli di superficie agli anni '80, ma davvero banalotto e scontato, come i richiami a Miyagi e a "Karate Kid" anche in alcune inquadrature di allenamento al tramonto.
C'è anche D'Amato/Al Pacino e la sua "celebre" sequenza del discorso motivazionale negli spogliatoi di "Ogni maledetta domenica", che lo si vede in tv in una sequenza in camera d'albergo, e poi in una scena comica quando è "sborniato" da uno dei giocatori come inizialmente imparato a memoria da Rontgen per motivare la squadra prima della partita, ma è buttato lì in maniera soltanto "carina" quando avrebbe potuto essere sviluppato e quindi dare un contributo anche comico al film, ben diverso.
Così come la stessa e importantissima sequenza finale della partita, che è appena sufficiente quando avrebbe dovuto esserne se non il momento indimenticabile, almeno "topico".
John Nada
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