Regia di Edoardo De Angelis vedi scheda film
“In mare, siamo tutti alla stessa distanza da Dio, a distanza di un braccio. Quello che ti salva”.
E con queste parole, pronunciate da un marinaio della nave russa Ocean Way salvato nel 2023 nelle acque del Pacifico da una nave battente bandiera ucraina, che inizia il nuovo film di Edoardo De Angelis, chiarissima (forzatissima?) dichiarazione d’intenti da parte degli autori sulle nobili motivazioni dietro alla realizzazione della pellicola, quasi a volersi “giustificare” in anticipo.
Per fortuna, però, il film non è soltanto questo.
Film di apertura della Mostra del Cinema di Venezia 2023 e nuova pellicola su grande schermo di Edoardo De Angelis (Perez, Indivisibili, Il vizio della speranza), dopo il trittico TV dedicato a De Filippo e La vita bugiarda degli adulti su Netflix, Comandante è prodotto da Indigo Film, Tramp Limited, VGroove, Wise e Beside Productions con la partecipazione di Rai Cinema con un budget di 15 milioni, distribuito da 01 Distribution con la fotografia di Ferran Paredes (Gomorra La serie, Il sindaco del rione Sanità ed gli stessi film di De Angelis) e sceneggiato dallo stesso regista insieme a Sandro Veronesi (da cui è stato poi tratto l’omonimo romanzo edito da Bompiani) e coniuga la dimensione epico-storica, rievocando seppur romanzati eventi realmente accaduti, a quella più intima, quasi teatrale, mettendo in scena la vita claustrofobica di un pugno di uomini rinchiusi in uno spazio ristretto, raccontando le gesta di Salvatore Todaro, pluridecorato militare italiano passato alla storia per aver tratto in salvo, nell'ottobre del 1940, 26 naufraghi belgi nelle acque dell'Atlantico dopo averne affondato il piroscafo su cui viaggiavano.
E il mare insieme al Cappellini, sommergibile della Regia Marina Militare Italiana ricostruito praticamente identico all’originale, con uno scafo in acciaio lungo 73 metri e sfruttando 150 tavole dei disegni d’epoca che ne hanno restituito ogni dettaglio e particolare del modello originale, sono i co-protagonisti (scontati?) di questa pellicola cupa, claustrofobica, dominato dal linguaggio della guerra e quindi, in quanto affare di uomini, dichiaratamente “virile”, ma anche (soprattutto?) dalle dure regole della vita in mare che, dialogando molto con il presente, riporta alla superficie nobiltà disattese e/o lo spirito indomito, ma anche autodistruttivo, dell’uomo.
E la prima parte di Comandante introduce proprio a questo stile di vita e di uomini rinchiusi obbligatoriamente in uno spazio strettissimo ma comunque vitale, fatto di calore umano e costruito dall’insieme di culture anche molto diverse che si incontrano (e scontrano) in più occasioni, tra distrazioni dettate dalla musica o, da buoni italiani, dal cibo mentre all’esterno del sommergibile una distesa di acqua oscura e minacciosa si confonde facilmente con la fredda notte dell'atlantico, illuminata a volte soltanto dal fuoco delle armi.
Ma la guerra non è soltanto pericolo ma anche un’occasione per alimentare un senso di unità nazionale, riunendo insieme regioni e dialetti diversi, spesso, per la prima volta, lontani da casa ma che porta inevitabilmente a una certa retorica nazionalista o, non sia mai, a una qualche superficialità ideologica sul periodo fascista.
In fondo Comandante è un film scisso in anime diverse, da quello storico (che non può, o almeno non dovrebbe, essere alterato solo per convenienza ideologica) a quella contemporanea legando la vicenda principale alle più recenti tragedie del mare, da quello industriale di kolossal bellico-avventuroso e quello autoriale di un racconto frantumato tra tensione documentaristica e improbabili squarci di realismo magico ma con il rischio di un sovraccarico di allusioni simboliche e/o di una faticosa commessioni tra li mondo passato e quello presente, anche con un qualche eccesso di retorica.
Simbolismi come l’immagine del sommergibile quale ventre materno che si immerge e si nasconde nel liquido amniotico del mare, e che vive in base a un suo particolare ritmo (immersione, emersione, giorno, notte), una bolla, gabbia e salvezza allo stesso tempo, che detta il respiro e il battito cardiaco di chi ha lasciato tutto dietro di se,un gruppo di marinai a tratti impauriti ma sempre fiero e combattivo, e che più si avvicina, per loro, a un’idea di casa.
De Angelis sfrutta molto bene alcune di queste caratterizzazioni affidandosi ad immagini liriche-oniriche per rappresentarle ma, al tempo stesso, non fidandosene troppo al punto da eccedere con le parole, ricorrendo (troppo?) alla voce fuori campo di personaggi diversi a seconda della situazione, e puntando molto sulle capacitò dei suoi interpreti, a partire dalla bravura di Pierfrancesco Favino che si conferma ancora una volta uno degli attori più importanti del nostro cinema, nel ruolo di un comandante solido ma pieno di sfumature, che sa sempre cosa fare e che vede le cose prima che accadono e che, nonostante sia a conoscenza di quando (e come) morirà, non ha paura, perché la paura è un sentimento che va accettato, sia in guerra che nella vita.
Fulgido esempio di una via nuova per un cinema italiano capace di costruire un dialogo tra passato e presente, seppur nel segno di un umanesimo laico non esente da una certa retorica, anti-spettacolare e, a tratti, magniloquente nella sua rivendicazione, anche cinematografico, di un certo orgoglio nazionale (nazionalistico?), il film di De Angelis è un’opera granitica nella muscolare visione di un eroismo antico, muovendosi forse secondo regole proprie ma riescendo comunque a centrare il bersaglio.
VOTO: 7
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