Regia di Bruno Bigoni vedi scheda film
Lara ha lasciato il marito per rifugiarsi e morire da sola in una casa al mare dove avevano passato dei momenti indimenticabili, senza dare spiegazioni. Il racconto ci metterà di fronte al dolore divisivo di una vita che ci inchioda alla debolezza umana che ci caratterizza.
Ho trovato questo film molto interessante. Con un'impronta un po' bergmaniana, il film affronta in cinque momenti più l'epilogo la relazione, i rimpianti, la meschinità di un matrimonio che si è sciolto silenziosamente, piegandosi su se stesso. Bigoni porta in scena la deriva di un uomo che dopo avere perso la figlia di quattro anni perde interesse verso la vita matrimoniale e la moglie. Sembra più un alibi costruito su un dolore atroce che andrebbe vissuto e condiviso insieme, ma che come anche nel La stanza del figlio di Nanni Moretti, invece può dividere definitivamente. Qui il rapporto rimane di una coppia che ha vissuto momenti felici, a colori, e che si ritrova a fare i conti con la grigia solitudine del presente e che il destino gli ha riservato.
La sceneggiatura è forte, porta a riflessioni e interrogativi profondi, all'amore che trova un suo coronamento nel sesso e nel desiderio che però qui è andato perduto. Rimangono le attenzioni di una moglie che ha nostalgia del passato, l'eterna distrazione di un marito che fugge in una relazione clandestina o sostituisce il sesso con una prostituta quando resta solo,ma che non comunica mai con l'altra metà della sua vita.
La regia si muove con sapienza ed equilibrio, cercando un'armonia narrativa nei carrelli e negli zoom in che ricordano molto lo stile del cinema d'autore.
Gli attori sono bravissimi, in primis Riccardo Margherini che porta su di sé il peso del personaggio scomodo che c'è presentato, anche se poi la mia interpretazione preferita è quella di Debora Zuin che riesce con gli sguardi e con i gesti a trasmettere il dolore e la solitudine in cui suo malgrado si ritrova.
Tre passaggi mi hanno colpito maggiormente. Il primo è la riflessione che fa Silvia, l'amore è una parola abusata, ma che significa compatire nella quotidianità, dove il testo si rifà all'etimo della parola compassione, "soffrire insieme", etimologia spesso ignorata a favore di un'interpretazione più ipocrita.
Il secondo momento è quando la sorella chiede a Lara se abbia detto niente al proprio marito della sua malattia e Lara le risponde che lei non si merita di condividere questo con il marito e che il marito non merita di condividere questo con lei. E in quelle parole io leggo ormai l'isolamento totale in cui i due protagonisti vivono, una relazione talmente consumata da non meritare nemmeno di condividere il dolore e la prova più grande della vita che è la morte. E del resto questa condivisione è mancata anche alla morte della figlia.
Il terzo e più importante chiaramente è la frase che viene detta all'inizio e alla fine del film, tu sei la metà di me che resta sulla Terra e risulta incredibile che nonostante tutta la sofferenza e una relazione ormai lisa, lei rivolga a lui un pensiero così profondo e bello che lega indissolubilmente le loro esistenze, al di là dei torti e del disprezzo che attraversano tutta la pellicola.
Sicuramente un film molto riflessivo che secondo me può valere la pena di vedere.
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