Regia di Renzo Merusi, Carmine Gallone vedi scheda film
La figlia della spia Mata Hari vive a Giava, nell’estremo oriente, e fa la ballerina. Incanta in tal modo il nobile Anak, che non esita a coinvolgere la giovane nel suo piano di insurrezione popolare.
Al culmine di una modesta carriera da attore cominciata una quindicina di anni prima, Renzo Merusi decide di passare dietro la macchina da presa per questo La figlia di Mata Hari; più che di vocazione (alla regia), presumibilmente si può parlare in questo caso di opportunismo: tanto è vero che Merusi viene qui assistito da Carmine Gallone, accreditato nei titoli di testa come ‘direttore artistico’ e decisamente dotato dell’esperienza giusta per accompagnare sul set un esordiente, e che Merusi girerà la sua opera seconda solamente sei anni più tardi, senza troppa fretta insomma, quando licenzierà Apocalisse sul fiume giallo (1960). La figlia di Mata Hari nasce da un soggetto di Cecil Saint-Laurent tradotto in sceneggiatura dal regista e da Nino Novarese, con dialoghi di quest’ultimo e di Georges Tabet: già dai titoli di testa – cast tecnico e artistico inclusi – non vi sono dubbi sulla coproduzione francese alla base della pellicola; nel complesso si tratta di un pasticcio storico-sentimentale in forte odore di cappa & spada / peplum con interpreti pescati dalle terze linee, ma non per questo meno efficaci e adeguati al contesto (anzi!). Tra i nomi principali: Erno Crisa, Ludmilla Tcherina, Enzo Biliotti, Frank Latimore, Milly Vitale e Valery Inkijinoff; la quantitativamente rilevante presenza di balletti (e relative coreografie) nella prima metà della storia la dice lunga sul budget ristretto a disposizione del regista. Il lavoro viene comunque portato decorosamente (per le attese) in porto. 2,5/10.
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