Regia di Marco Ponti vedi scheda film
C'erano una volta la Pro Vercelli, il Casale, la Novese, il Verona. E c'era la Sampdoria. Sono passati più di trent'anni da quando il campionato italiano di calcio non era una faccenda per le solite note, ma una competizione aperta anche a chi non aveva voragini miliardarie e combutte con lo Stato, ossia il viatico migliore per assicurarsi lo scudetto anche per dieci anni di fila. La Sampdoria di Boskov, ma soprattutto di Vialli e di Mancini, è stata l'ultima squadra a farci sognare un calcio non dico pulito (il nandrolone girava anche allora), ma almeno meno inquinato di quanto non sia adesso. Era una bella stagione, e non solo in senso sportivo, in cui potevi ancora coltivare qualche speranza latu sensu (l'anno dopo sarebbe arrivata Tangentopoli).
Al suo primo documentario Marco Ponti (con una carriera che va da Santa Maradona a Una vita spericolata) fa pieno centro, snocciolando il rosario di testimonianze dei protagonisti dell'epoca. Ne scaturisce un racconto avvincente, ricchissimo di aneddoti gustosi (su tutti, quello dell'età sconosciuta del brasiliano Toninho Cerezo) e ricostruendo in ordine cronologico la vicenda calcistica di quella squadra fortissimamente voluta dal presidente Mantovani. Una vicenda che non si ferma al solo campionato, ma arriva alla finale in coppa dei campioni persa col Barcellona e all'abbraccio tra Mancini - nel frattempo diventato commissario tecnico della nazionale - e Vialli, capo delegazione di quella stessa nazionale vincitrice del campionato europeo: la scena forse più toccante del documentario, che alla malattia di Vialli riserva pochi, dignitosissimi e sobri minuti.
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