Regia di Federico Fellini vedi scheda film
Film probabilmente unico ed irripetibile. Ha ispirato milioni di opere moderne, peraltro diversissime per genere, intenzioni e obiettivi.
E se ci rendessimo conto d’improvviso che lo stile di vita borderline praticato nella Dolce vita potrebbe essere persino un modello? Dopo così tanto tempo, urgono un'attualizzazione ed un revisionismo del capolavoro felliniano. Al tempo fu messo all’indice dalla parte reazionaria del Paese, si berciò di Sconcia vita in forza dell’edonismo da baccanale infinito del film, e poi il lassismo nei costumi, le relazioni superficiali, donne cambiate una via l’altra, promesse d’amore languide smozzicate a mezza voce la sera prima e dimenticate la mattina dopo, il Sahara delle virtù morali, il rifiuto infantile della vita reale, un’incomunicabilità reciproca espressa anche in modo più efficace rispetto ai film di Antonioni, se vogliamo, un'incomunicabilità che impediva ai personaggi di capirsi fra loro, presi com'erano in quella Babele incessante di linguaggi tutti diversi e sovrapposti l'uno all'altro. Tuttavia, oggi, forse dovremmo ricuperare e fare di nuovo nostra questa immensa opera, proprio per i motivi che allora destarono così incredibile scalpore. Oggi che siamo tutti così seriosi, oggi che difendiamo i diritti di questa o quella minoranza quando alla prova dei fatti ce ne importa il giusto o non ce ne importa nulla, oggi che ci indigniamo, che strepitiamo, che attacchiamo tutto e tutti, oggi che il cattivismo verbale è diventato la norma e ci siamo persino mitridatizzati all’offesa reciproca, non ci sorprende più. Oggi che viviamo intensamente la realtà, così intensamente da aver perduto il senso di quello che c’è oltre. Oggi che è il tempo del materialismo più scatologico, un materialismo che punta verso il basso. L’egoismo del Marcello Rubini felliniano, innocente, immacolato e senza doppiezze, è stato rimpiazzato da una disgustosa retorica pseudoaltruistica, che di altruista non ha che le buone intenzioni di partenza. Gli ideali di facciata sono diventati il veicolo e l’alibi per scaricare le più inumane schifezze nel capientissimo pozzo di oscenità che sono diventati i media, la scena politica, il quotidiano. Non si è mai concionato sul futuro come nella nostra epoca attuale, ma intanto viviamo nel presente male come non mai. Siamo in un’era post-sociale, dove la società, ormai vistasi superare nei suoi principi fondanti e diventare materiale per gli archeologi, cerca altri mezzi per affermarsi sulle coscienze, imponendo con la forza dettami ipocriti, autoritari, assoluti. Forse dovremmo davvero cominciare ad anelare ad una civiltà priva della vincolante pastoia degli ideali.
La Roma felliniana se non altro era pregna di un materialismo spirituale, più alto ed elevante: non c’è un personaggio che non sperimenti in ogni istante un piacere, sia pur passeggero, ma seguito immediatamente da un altro istante di piacere e poi da un altro ancora, in una processione senza freno. Sono degli innocenti e dei felici, i personaggi della Dolce vita, che non si curano minimamente del prossimo, e che al limite guardano al prossimo come ad un mezzo per prolungare il piacere, o per rinnovarlo ed arricchirlo, non di certo come ad un nemico da distruggere. Si viveva con più spontaneità, si galleggiava in una interminabile bolla di sogno, senza porsi orizzonte alternativo che il raggiungimento dello stato di piacere successivo. Gli unici che nel film percepiscono davvero la pressione del futuro, ovvero Steiner ed Emma - l'uno come preoccupazione per ciò che aspetta i propri figli nel domani, l'altra nell'attesa di un matrimonio che non arriva mai - sono anche i soli personaggi davvero insoddisfatti del film. Il futuro è morte, oblio, incertezza, inconsistenza. Il capolavoro felliniano al contrario riluce della vita più splendente, ribolle dell’amore più focoso e bollente, premia la bellezza impagabile di un momento e boccia recisamente la noia di tanti giorni sempre uguali a se stessi.
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