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La dolce vita

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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La recensione su La dolce vita

di Antisistema
10 stelle

Il suono scatenato dell'orchestra in apertura di film, più ricordare soavi melodie, rimanda ad una caotica Babilonia, in piena espansione verso non si sa quale direzione, nè punto di arrivo, in un'avanzata che fagocita tutto, inebriandosi del proprio potere; antico e moderno nel cinema di Federico Fellini si scontrano, poi si uniscono ed infine coesistono tra loro, ritraendo un'Italia lasciatasi alle spalle gli orrori della seconda guerra mondiale, per affacciarsi tramite sua la più antica capitale d'Europa, nel caos della contemporaneità, mettendo in scena l'evoluzione di un paese senza coordinate, al totale sbando morale, nonostante il titolo la Dolce Vita (1960), faccia presagire  un'opera soave nel ritrarre una nazione in pieno boom economico, finisce in realtà per diventarne un monumentale epitaffio senza fine, con una funerea analisi sul futuro a lungo termine. 
Il frastuono di una modernità, alla quale tentano tutti di abbeverarsi, dagli straccioni, ai lavoratori a giornata, passando per le svariate tipologie di donne, l'ossessione autodistruttiva dei mass media arrivando a concludere la rassegna umana con il ritratto di un'aristocrazia miscelata all'alto borghesia intellettuale in totale vuoto vitale. 
Fellini mette in scena un film sul "CAOS": una sarabanda di suoni, stimoli sensoriali e pulsioni fisiche, alla ricerca di un appagamento mai destinato a concretizzarsi, per via di una Roma caput mundi, triste teatro di una società all'apice del proprio essere, in procinto di collassare su sè stessa, per via del vuoto in cui essa si ritrova immersa. 
La statua del Cristo trasportata dagli elicotteri in apertura di film, diventa l'emblema di una società sorda verso le basi su cui essa è stata edificata, perchè persino Dio, se rimanderebbe suo figlio sulla Terra, non verrebbe riconosciuto da nessuno.
Sbeffeggiato ed osannato a seconda dell'appartenenza politica, Cannes 1960 lo premiò con una meritatissima Palma d'Oro, consacrando ulteriormente Fellini, oramai lasciatasi alle spalle il neo-realismo a favore di un nuovo realismo magico con fortissime contaminazioni barocche, che trovano forza in una serie di suggestioni visive, che fecero presa all'epoca su un pubblico attirato dalla natura scandalistica del film, tributandogli incassi record in patria e nel mondo, consacrando l'opera non solo a capolavoro assoluto del cinema capace di riscriverne le regole stesse, ma anche a fenomeno di costume senza tempo. 

 

Marcello Mastroianni, Yvonne Furneaux

La dolce vita (1960): Marcello Mastroianni, Yvonne Furneaux


Immerse in questo flusso lussuoso di luci e costumi esotici, le persone corrono dietro ad altre divinità, più laiche, carnali e alla moda; le moderne celebrità dietro a cui corrono fiotte di giornalisti, sempre alla ricerca dello scoop remunerativo, uno di questi è Marcello Rubini (Marcello Mastroianni), assieme al suo fido assistente fotografo Paparazzo (Walter Santesso), alla ricerca dell'imbeccata giusta nei vari locali di via Veneto, tra bar, sale da ballo e club esclusivi, in questo mondo ultra lussuoso turbocapitalista, mortifero, prosciugatore di energia, che serata dopo serata, sigaretta dopo sigaretta e bicchiere dopo bicchiere, i prosciuga ogni linfa vitale; veleno per lo spirito umano, ma così tremendamente affascinante dal non volersene distaccare. 
La città che conquistò il mondo, infine da questo venne conquistata, le vie del centro sono gremite da macchine all'ultimo grido, mentre i nuovi quartieri che avanzano alla periferia, assumono l'aspetto di grigi blocchi amorfi immersi nella polvere terrosa, continuando ad avanzare senza un disegno razionale, come del resto lo è la struttura filmica frammentata nella narrazione, come nei personaggi, di cui Marcello ne è un testimone passivo e mai soggetto agente. 
Promesse di matrimonio con la fidanzata Emma (Yvonne Furneaux) mai portate a termine, pigre relazioni sentimentali con ricche signore come Maddalena (Anouk Aimee), amicizie con vuoti intellettuali radical chic altoborghesi alla Steiner (Alain Cuny) e dive del cinema in visita alla Hollywood sul Tevere, che sull'esempio di Sylvia (Anita Ekenberg), riplasmano un monumento testimone del barocco come la fontana di Trevi, per far nascere un nuovo mito, che fonda la propria potenza sulla potenza dell'immagine della settima arte. 
Il bianco e nero tra del direttore della fotografia Ortello Martelli, che si perde in un grigio ammaliante, ancora più della narrazione e più delle parole ridondanti quanto vacue dei discorsi pronunciati da dei personaggi sempre più estraniati dalla vita vissuta, plasma una Roma decadente, dove i fantasmi della tragedia (il padre di Marcello e il destino di Steiner), confluiscono nell'ultima noia finale, su una spiaggia, dove i personaggi vengono messi innanzi al "mostro marino", simbolo della loro condizione disperata; ma in una perfetta circolarità tematica, se ad inizio film la gente era sorda innanzi alla statua del Cristo, alla fine l'incomunicabilità di Marcello con la giovane Paola dall'altra parte (Valeria Ciangottini), sancirà il trionfo dello spventoso abisso di una babelica modernità, in cui tutti parlano in varie lingue del mondo, ma alla fine nessuno è in grado di ascoltare l'altro. 

 

Anita Ekberg, Marcello Mastroianni

La dolce vita (1960): Anita Ekberg, Marcello Mastroianni

 

Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297

 

 

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