Regia di Antonio Capuano vedi scheda film
Tragedia napoletana poco epica e molto edipica.
la famiglia come origine di tutto. Il potere del clan prima dei rapporti di sangue. Quello che viene versato viene lavato senza lacrime, quello che viene mischiato non porta con se problemi etici. Il circolo è vizioso e viziato, l’aria è malata la violenza sempre allenata ad esplodere per spostare equilibri e regolare conti in sospeso con parenti dello stesso sangue che lasciamo comandare solo fino a quando non vogliamo prendere il loro posto. Comandare non è meglio di quell’altra cosa, comandare è quell’altra cosa. Napoli città sempre soleggiata diventa grigia velata da un lutto eterno che non può trovare sfogo, i morti non si possono piangere perché sono i vivi a deperire a marcire ogni giorno sempre di più. Padri e figli madri e figlie possono dividere lo stesso letto e fare della promiscuità sessuale una necessità. L’aria non può essere cambiata, come le parrucche sempre più vistose capaci di nascondere il vuoto morale di chi le indossa. La sceneggiata napoletana non abita più qui, le esplosioni e le sparatorie sono ridotte al minimo sempre brutte quando viste e mai spettacolari quando sono raccontate. Per il clan sembrano non esserci più totem da rispettare o tabù da non violare, i padri possono essere uccisi dai figli con o senza volontà per staccare il cordone con la famiglia e il suo potere. Per il nostro barbarie e civiltà vanno a braccetto diretti verso la distruzione e non c’è più spazio per il melodramma. L’onore è la pietà dei pretesti per scavalcare chi dovremmo rispettare. La logica della famiglia come tribù premorale dove il più forte decide e la violenza è sempre pronta ad esplodere tragicamente senza pianti.
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