Regia di Antonio Capuano vedi scheda film
Sciatto, nel suo essere cinema da soap opera. Anche se notevole, per i colpi di scena.
L’adattamento camorristico/partenopeo/attualizzante sulla tragedia greca non pare proprio riuscito. Non tanto – o solo – per la volgarità dei personaggi e degli ambienti descritti, ma soprattutto per i dialoghi: pretendono di essere solenni, invece fanno acqua. Con tutto il rispetto parlando, una filosofia – figlia di una antropologia – strettamente da case popolari non potrà mai assurgere al rango di un’opera aulica. Sarebbe stata adatta a un’opera tipicamente popolare - pur profondissima, magari -, che però qui non è stata perseguita con coerenza. Al proposito, l’eccesso della veggente pazza è evidente, e fastidioso.
Troppo impostato, troppo caricato: il clima complessivo è negativo. Soprattutto perché scade nei cliché più triti del melodramma napoletano.
Eppure i pregi sono tanti:
1- gli odi intra-familiari, che non possono avere - ma solo inizialmente - lo sfogo che dovrebbero, per via di logiche superiori di potere – delinquenziale, sia chiaro -, che però rovinano ulteriormente tali rapporti;
2- i colpi di scena continui, anche con gli omicidi, e le scene di sesso;
3- la denuncia della corruzione della politica, che al sud è ancora preda, in modo maggioritario, del controllo delle mafie;
4- la denuncia dell’estorsione, fenomeno tanto occulto quanto basilare dell’economia meridionale, purtroppo;
5- la caratterizzazione di vari personaggi – umanamente scurrili -, tra cui spicca la madre, una Licia Maglietta ossessionata da pettinatura e trucco; che non può fare a meno di mossette ammiccanti di quartiere, enfatizzate dal binomio sigaretta-chewing gum.
6- l’ambientazione di cattivo gusto: la pantera, in gabbia e in casa, è simbolo efficace del degrado tanto culturale quanto umano.
7- La raffigurazione del potere violento e criminale che imperversa ancora, ahinoi, nel Mezzogiorno. Il pater familias, boss della camorra, può realisticamente dire: «Le persone ti sentono solo quando capiscono che le puoi uccidere quando vuoi».
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