Regia di Laurent Cantet vedi scheda film
Cosa fai nella vita? «Il manager» risponderebbe Vincent, padre di famiglia, benestante, brava persona. Eppure mente, perché è stato licenziato da più di tre mesi e adesso deve giustificare le sue lunghe assenze da casa. Un altro lavoro, un incarico internazionale all’Onu, ma è tutta una bugia. Che prima o poi qualcuno scopre. Leone dell’anno a Venezia, il nuovo film di Laurent Cantet (che esordì con “Risorse umane”). Strameritato. Una costruzione drammaturgica condotta con rigore stilistico glaciale per sottolineare il solo principio ontologico del nostro mondo: «lavoro dunque sono». E se uno non lavora più? Magari per scelta? La storia di Vincent sembrerebbe solo esemplare se non fosse ispirata a un fatto reale, che si concluse in maniera ben più tragica del film. Anche se a ben vedere l’ultima sequenza che Cantet regala al nostro sguardo è agghiacciante e sembra aprirsi su uno scenario alla Michael Haneke. “A tempo pieno” riscrive (o dimostra come si siano riscritte) le regole della convivenza in base ai requisiti formali della “professione”. Anche nel linguaggio, nel parlare di tutti i giorni, quando tra colleghi si instaura una «comunicazione felice» e non un rapporto umano. Dopo a “A tempo pieno” non si può fare a meno di pensare al Grande Lebowsky come a un eroe dei nostri giorni.
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