Il Vangelo secondo Antonio Rezza, che ha impiegato oltre diciassette anni per dare alla luce la sua visione, inevitabilmente irruente e pure un po' scandalosa, sulla venuta del Messia in terra.
L'attore e regista novarese ha inteso, almeno nella sua parte iniziale, dopo il geniale avvio dei titoli di testa che appaiono sotto forma di croci che formano un cast cimiteriale, omaggiare il capolavoro pasoliniano.
L'ambientazione tra le case antiche ed in pietra di Matera, ed il bianco e nero abbagliante da far strizzare gli occhi, ne costituiscono la più lampante dimostrazione.
Il Cristo di Rezza, interpretato da se stesso i primi anni del nuovo secolo, come testimoniano i tratti fisici di un attore decisamente più giovane rispetto al se stesso attuale, ha nel volto l'angoscia di chi si ritrova intrappolato in un ruolo che non riesce pienamente a comprendere, soprattutto quando si accorge di avere a che fare con una umanità senza possibilità di vera redenzione.
Ne scaturisce quindi la necessità e l'istinto di esprimersi solo attraverso versi gutturali che diventano la più efficace e pertinente rappresentazione dell'angoscia, oltre che dell'impotenza, e della incapacità a rassegnarsi ad un ruolo inevitabilmente sacrificale.
Il Cristo smarrito ed angosciato, quello che fa miracoli come reazione ad uno shock che non riesce a placarsi, si accompagna spesso alla figura di una vecchia bonaria tentatrice, che altro non è che una figura satanica che incalza questo messia disorientato e sbalestrato in un luogo ed in circostanze che non riesce a comprendere a fondo.
Più che irrispettoso o addirittura blasfemo, il figlio di Dio di Rezza diventa la rappresentazione della disperazione, della tensione che distrugge psicologicamente tutti coloro che comprendono di essere stati coinvolti in qualcosa di più grande di loro.
Il film rispetta anche, specie nella sua prima parte, l'ordine filologico degli eventi principali narrati dai Vangeli, liberamente rivisitati con soluzioni spesso tanto geniali come inquietanti.
Poi quando l'autore finisce di dirigere e inizia a "dirigersi", questo ordine sparisce inghiottito e fagocitato da un panico viscerale che, in parte, riesce a trasferirsi o comunque a rendersi avvertibile nello spettatore.
Oltre alla già citata scena del cimitero generato dal cast del film, un altro momento indimenticabile del film è rappresentato dalla rivisitazione della strage degli innocenti, rivissuta attraverso il martirio di bambolotti di gomma, o la scena della crocifissione del Cristo bambino, che mette in scena il figlio all'epoca neonato di Rezza, ora quattordicenne.
Il Cristo in gola si rivela un film dirompente, come spesso accade per ogni rappresentazione di questo autore: un film che rende impellente e contagioso il senso di disperazione e di panico che grava su chi è convinto di trovarsi al momento sbagliato, nel posto peggiore che gli sia mai capitato.
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