Regia di Maria Sole Tognazzi vedi scheda film
Dieci minuti al giorno sono la terapia di guarigione dell’anima che la Dottoressa Brabanti chiede a Bianca di applicare per rinascere dopo la dolorosa separazione dal suo compagno di una vita. Stufa di una routine che non la soddisfa e non la ripaga abbastanza, Bianca decide di aggrapparsi a quei dieci minuti per risollevare la sua vita in caduta libera.
Maria Sole Tognazzi adatta per il grande schermo il romanzo di Chiara Gamberale e ne viene fuori un vero e proprio disastro. Non ho letto il romanzo quindi mi astengo dall’esprimere paragoni o similari e limito il mio giudizio alla sola visione del film.
Troppi gli argomenti che la narrazione tenta di sciorinare in meno di due ore di svolgimento. La depressione, profonda e implacabile, generata da un abbandono improvviso e neanche lontanamente ipotizzabile. La costruzione di un rapporto tra sorelle, di cui una nata da una relazione extraconiugale che l’amorevole padre ha perpetrato ai danni di una madre succube di un rapporto totalitario e malato.
E poi l’amore per sé stessi, il maschilismo, ma anche il femminismo con un posto speciale per la forza delle donne e la conseguente capacità di rialzarsi sempre e comunque, nonostante tutto. La solidarietà femminile ma anche la sessualità e una buona dose di luoghi comuni che non guasta mai. La sensazione, ad un certo punto, è che la Tognazzi perda il filo del discorso e finisca per condurci ad un finale scontato e inopportunamente smielato per forza d’inerzia.
La piacevole presenza di Margherita Buy non basta a risollevare le sorti del film che dimostra un certo potere soporifero già dopo i primi venti minuti. Parte della responsabilità, mi spiace dirlo, ma è di Barbara Ronchi, incapace di trasmettere le molteplici emozioni che i tanti argomenti dovrebbero generare. La sua Bianca sembra solo l’ennesima vittima dell’inerzia di cui sopra; anch’essa trasportata dagli eventi e dalle situazioni ma inabile ad affrontarle e ancor meno a renderle empatiche.
Tutto questo crea un film difficile da comprendere, che si guarda (quasi) con (in)sofferenza, sperando solo che finisca presto.
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