Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
La pacatezza, caratteristica eloquente nelle pellicole di Nanni Moretti, spesso fin troppo estrema da risultare fastidiosa, è qui un punto forte, quasi fondamentale, per raccontare la storia nel modo giusto. La mancanza affettiva estrema, il dolore finale irrisolvibile, l’impossibilità di rassegnarsi, il lutto perenne e incolmabile. Moretti mette in scena il dramma familiare postumo alla scomparsa di un figlio, esterna il dolore, riduce al minimo i dialoghi. Servendosi solo delle musiche e degli sguardi. Si fa accompagnare dall’intensa Laura Morante pur senza indugiare sul dolore quanto sul vuoto. Sulla necessità di proseguire un’esistenza. Anche la scelta della città in cui ambientare il film non è casuale: Ancona. Una città riservata, quasi spenta. Così come non è casuale la perfezione (o quasi) familiare, che lo circonda. Tutto questo “non dare voce” è necessario allo spettatore per “sentire meglio” l’eco del dolore, della mancanza che deve essere assorbita da un corpo che deve essere immune se non vuole crollare sotto il peso del ricordo. Moretti riesce nell’intento: crea disagio, un’angoscia che scopriamo di avere in realtà già pronta, dentro di noi, per essere usata all’occorrenza. Delinea il quadro psicologico umano utilizzando gli spazi lasciati in silenzio. Un’opera claustrofobica ma ben elaborata.
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