Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Avevamo lasciato la persona Nanni Moretti che si fa personaggio Nanni Moretti alle prese con la nascita del figlio in Aprile. Tre anni dopo la ritroviamo alle prese con la morte di un figlio certamente più grande, e, probabilmente, con uno dei vertici della sua maturità. Emozionante è forse l’aggettivo che più s’addice a questo melodramma che, com’è tipico dell’autore, è un film multiforme: se nella prima parte, tutto sommato, assistiamo ad una variazione del lessico familiare filtrata dallo sguardo agrodolce dell’autore (con una corale stonatura di Insieme a te non ci sto più, spensierato presagio di un’inquietante imminenza), lo spannung della vicenda impone una violenta metamorfosi del tono, e così scompare anche l’ironia comunque fino ad allora confinata nell’angolino psicanalitico del protagonista Giovanni (“Dottore, oggi è la mia ultima seduta. Ci vediamo martedì” dice una paziente in terapia da quattrocentosessanta ore).
Dall’evento deflagrante in poi, le emozioni assumono tonalità ovviamente più cupe, il tema centrale del dolore travolge prepotentemente tutto ciò che abita la scena nelle infinite forme con cui tocca i membri del nucleo familiare che subisce la perdita. Esiste una speranza oltre il dolore? By This River, forse, lo capiscono, dopo un lungo viaggio da Ancona al confine con la Francia: panta rei, l’acqua che scorre nel fiume per poi gettarsi in mare. Il disgraziato avvento del dolore sconvolge la vita di una famiglia apparentemente felice. Giovanni, il padre, si sente quasi responsabile della tragedia: “è inutile, non si può tornare indietro” gli dice la moglie Paola, più concreta di quel marito psicoanalista (così morettiano nel suo sentirsi inadeguato nell’esercizio della professione). Il grande trauma del padre s’illude di trovare una tregua devastante nel senso di colpa: se non si fosse precipitato a casa dell’ipocondriaco paziente Oscar, forse Andrea, il figlio, non sarebbe andato in mare con gli amici.
In qualche momento, La stanza del figlio è un film addirittura crudele: è il caso della terribile scena della camera ardente, con i chiodi che affondano nella bara, il pianto antico della madre, la contenuta tristezza della sorella, il controllato dolore del padre, l’abbraccio che cerca di coinvolgere tutti; o della puntata al luna park, con Giovanni alienato sulla giostra, quasi un documentario del volto di Moretti mai così addentro il proprio personaggio (se molto del suo carattere è trasmesso alla figlia Jasmine Trinca, di naturale spontaneità, ritroviamo comunque alcune fisime: le scarpe nascoste in un armadietto nello studio, lo sport, la canzonetta stonata, la psicoanalisi). Con questo aspro, struggente e toccante dramma di gente comune (e qualche legame con Redford, volendo, lo possiamo trovare) ha conquistato una sospirata e meritatissima Palma d’oro a Cannes. Merito anche di una Laura Morante meravigliosa che recita di sottrazione con delicata naturalezza.
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