Regia di Med Hondo vedi scheda film
“Soleil Ô” intona l’urlo di resistenza, un attacco al capitalismo occidentale e alle radici del colonialismo. Il debutto del mauritano Med Hondo figura un exploit doloroso, stilisticamente detonante, intriso di rabbia e grottesca ironia; racconta le paturnie burrascose di un immigrato (Robert Liensol) che abbandona il continente d’origine espatriando in Francia alla cerca di arricchimento culturale e benessere; scopre presto una nazione ostile ove la stessa esistenza suscita paura e amarezza. Lo svolgimento della vicenda indice i segni di una civiltà universale incarnata nella metropoli e la consapevolezza inquietante di una tensione irriducibile; è difficile trovare un’occupazione, i sogni si rovesciano in delusione. Lo straniero vive l'esilio come un susseguirsi di incontri: una conversazione con il titolare di una fabbrica che conferma il pregiudizio e la discriminazione degli autoctoni; una cena assieme a un locale, il quale discerne il problema della segregazione; una breve relazione legata a una donna caucasica, stemperata in una serie di deprimenti constatazioni impregnate di stereotipi. L’educazione e le capacità pratiche, effettivamente, non contano, giacché, secondo la gente del posto, l'avventizio “visitatore” ha un’etichetta, e tutte le altre caratteristiche (appartenenza territoriale, eredità intellettuale, credenze, professione) rientrano in questa classificazione. Nella babelica orchestrazione dei risvolti sono palpabili effetti di straniamento brechtiano, un rifiuto di personaggi psicologizzanti a favore di un'attenzione alle sovrastrutture collegate, in modo da consentire allo spettatore di appurare chiaramente i fenomeni in questione senza esserne direttamente interpellato. Il virtuosismo artistico fluisce in un'ampia gamma di tecniche che rinnovano e riformulano la grammatica narrativa, dalla digressione agli improvvisi scarti extra-diegetici (bellissimo il prologo animato che vira verso la condensazione astratta rispetto alla consueta rievocazione letteraria): queste “devianze” stornano le comuni proprietà associative del pensiero umano. Quando ad esempio l’umile crociato consulta un sociologo che sta indagando sullo status e sul valore dell’operato dei migranti nell'economia, la scena diventa un’analisi ficcante dell'estrema violenza nascosta nel linguaggio tecno-burocratico; invece di essere riprodotta interamente, la traccia viene estesa in quasi mezz'ora, lasciando ripetutamente esplorare altri intrecci vagamente o apertamente correlati: un'illustrazione potente e schiacciante sulle stentate condizioni di chi sta ai margini. Un altro dei segmenti più iconici setaccia, come accennato, la possibilità di una storia interrazziale. La rappresentazione fonde finzione e saggistica. I partner camminano sugli Champs-Elysées e i passanti lanciano occhiate indignate, avvertendo shock, incredulità e rifiuto di accettare; gli strimpelli degli animali da cortile fanno da contrappunto ai fotogrammi, postulando un illusorio apogeo cosmopolita. Il taglio sperimentale dell’audio, ripartito in dialoghi, percussioni energiche e rumore asincroni, innescherà pertanto il climax agli incresciosi avvenimenti. Impreziosiscono la visione d’insieme il bianco e nero graffiante in formato 16mm, e ovviamente uno scavo drammatico degno di lode nel ruolo del pacato Liensol. L'intenzione di Hondo, in questo excursus afro-diasporico che ribatte l’utopistica idea di un ”impero evoluto”, era di trasformare l'esperienza del singolo individuo senza nome in conoscenza collettiva: un’impresa trionfante da assimilare lentamente.
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