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Lee Miller

Regia di Ellen Kuras vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Lee Miller

di yume
8 stelle

Lee Miller (2023): Trailer ufficiale italiano

La vita di Elizabeth Miller, Lady Penrose, detta Lee (Poughkeepsie, 23 aprile 1907 – Chiddingly, 21 luglio 1977) è stata quella intensa di una donna libera nata e vissuta in un tempo in cui fare della propria vita un’opera d’arte, come proclamava il Vate, era roba da uomini.

Nessuna meraviglia, la strada delle donne è stata sempre in salita e nella prima metà del secolo scorso nomi eccellenti si contano sulle dita di una mano.

Ma Lee ha fatto della sua vita un’opera d’arte, aveva un fuoco interiore che dalla sonnolenta provincia americana la proiettò in quell’Europa che, tra una guerra e l’altra, metteva insieme nomi folgoranti.

A Parigi giravano Jean Arp, Maz Ernst, Andrè Masson, Joan Mirò e Pablo Picasso; di lei, appena diciottenne, s’innamorò Man Ray, era il 1925 e Lee non passava inosservata.

La vita gaudente dell’epoca la vide sempre al centro, modella bellissima e amante della fotografia, trovò nel Surrealismo il linguaggio giusto, spregiudicato, nuovo e la prima parte della sua vita ebbe nell’arte e nel milieu culturale che contava la sponda necessaria.

Ma la sua è stata una vita divisa in tre parti, e così ce la restituisce il film molto ben condotto da Ellen Kuras, che sceglie Kate Winslet per interpretare questo personaggio complesso, sfaccettato, dotata di una vista così perforante da vedere oltre, i suoi reportage di guerra sono ai confini dell’arte e dell’arte hanno lo sguardo inquieto e mobile.

Nel ’39 la bella vita di feste e champagne finì sotto le bombe, Lee avrebbe potuto vivere come tante donne fortunate all’ombra di compagni famosi e affettuosi (nel frattempo aveva sposato Penrose) ma da Londra, dove aveva seguito il marito, sentì il bisogno di esserci, di testimoniare.

Diventò fotoreporter di guerra con un visto statunitense, la vecchia Europa non permetteva alle donne di invadere il campo degli uomini.

E’ la seconda parte della sua vita, Kate Winslet ne dà un’interpretazione magnifica, travolgente.

Lee Miller, sconosciuta fino a quando il figlio Antony, dopo la sua morte, non scoprì in soffitta l’enorme archivio delle sue foto, ora è tra noi, indimenticabile.

Perché nascondere le sue foto, perché voler dimenticare e ritirarsi nell’ombra?

E’ la terza parte della sua vita, segnata da disturbo post traumatico, depressione, chiusura al mondo.

Il film inizia da lì e ci porta indietro in un lungo flash back alla fine del quale i dieci anni più drammatici della sua vita sono a fuoco, e con loro la tragedia che ha segnato l’intero secolo.

Riviviamo quei giorni disperati e lei che tra le macerie, sotto le bombe, continua a scattare con la sua Rolleiflex.  Quegli orrori non possono essere taciuti, il mondo non li conosce, deve conoscerli, deve capire cos’è stato veramente il nazismo e perché le masse l’hanno condiviso.

Per noi di questo millennio, che pure tanto abbiamo visto in tanti documenti e testimonianze, le sue immagini sono una scoperta.

Lee osservava con occhio surrealista. In modo del tutto inaspettato, tra il reportage, il fango e i proiettili troviamo fotografie in cui l’irrealtà della guerra assume una bellezza quasi lirica, a volte con riferimento ad altri artisti surrealisti come De Chirico. A ben riflettere, mi rendo conto che l’unica formazione rilevante per un corrispondente di guerra è essere prima un surrealista, poiché per un surrealista nulla è troppo insolito”… scriveva Antony Penrose, il figlio.

Inevitabile tornare col pensiero ad Hanna Arendt:

Il male non è mai radicale, ma soltanto estremo, e non possiede nè profondità nè una dimensione demoniaca… esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso sfida il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità.

Lee Miller ha visto con i suoi occhi un’umanità prosciugata, straziata. E’ entrata a Dachau e Buchenvald, ha visto cose che nessuno mai voleva vedere, ha spedito al suo editor, Vogue, foto che non furono mai pubblicate, solo in parte negli Stati Uniti, avrebbero nuociuto al morale collettivo, le dissero.

Lee non cercava notorietà e soldi, voleva che la fotografia fosse un risarcimento, anche a prezzo della vita, se necessario.

Il tempo, solo il tempo e oggi il Cinema, le hanno reso giustiziafinché il Sole/ risplenderà su le sciagure umane.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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