Regia di Julian Schnabel vedi scheda film
Il fatto che il regista sia, come il suo protagonista, un pittore fa sì che si riesca a capire piuttosto bene come lavorava Jean-Michel Basquiat, quale sia stata la sua importanza nel mondo della pittura, specialmente nella New York degli anni Ottanta, e quali meccanismi regolino la critica e il mercato della pittura. E tra questi ultimi due aspetti non dev'esserci grande differenza, se, come dice Andy Warhol (un artista forse non eccelso ma un talent scout di enorme intelligenza), "un pittore vale quanto sa farsi pagare". Il fatto, poi, che il regista sia stato un amico del protagonista riesce a darci un quadro credibile della personalità, certamente disturbata, di Basquiat, tossicomane e forse colpito nella psiche dalla stessa malattia che ha condotto la madre alla reclusione in una clinica psichiatrica. E, in questo modo, Schnabel (il quale spesso indulge a vezzi registici degni di miglior causa, come testimonia il surfista che ogni tanto solca le onde immaginarie del cielo newyorkese) riesce, in alcuni momenti, a farci percepire l'emozione per la fine precoce di un artista di valore. E non va taciuto almeno un momento di grande valore: l'intervista che il protagonista concede al giornalista interpretato, per pochi intensi minuti, da Christopher Walken con la bravura che gli è consueta.
Buona, con alcuni pezzi inconsueti e indovinati, quali "Fairytale Of New York" e "Summer In Siam" dei Pogues, più "Waltzing Matilda" di Tom Waits. "Hallelujah" è cantata da Cale e non da Leonard Cohen.
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