Regia di Marco Spagnoli vedi scheda film
L'inizio è fulminante: in quella commistione di madrigalisti, disco music, archi e ottoni che Pino "Pinaxa" Pischetola - collaboratore di lungo corso di Franco Battiato - ci mostra sezionandoli ad uno ad uno, c'è tutta l'essenza del genio del musicista siciliano di Centro di gravità permanente e altri cento gioielli. Il film che gli dedica il regista Marco Spagnoli si concentra, a partire dal titolo, sul disco che fece da spartiacque nella carriera del compositore di Milo: La voce del padrone, anno di grazia 1981. Fu il primo disco italiano a superare la soglia del milione di copie vendute, ma fu soprattutto quello che radunava le intuizioni precedenti del Battiato sperimentatore e allievo di Stockhausen con una visionaria vena pop all'interno della quale scorrevano testi che centrifugavano i Beatles e Adorno, furbi contrabbandieri macedoni e gesuiti euclidei, i desideri mitici di prostitute libiche e il senso del possesso che fu pre-alessandrino. Niente di mai ascoltato prima di allora. Peccato che la seconda parte del film svolti su una lettura piuttosto stropicciata e corriva del Battiato-pensiero, forgiando il santino con tutti i suoi cliché: l'immancabile found footage, le testimonianze - non sempre indispensabili - di chi, pur avendo conosciuto Battiato, non ha molto da dire (Finardi, Consoli) e la presenza ingombrante, eccessiva e quasi sempre pleonastica del produttore Stefano Senardi, con immancabile bastone in bella vista. Insomma, Spagnoli non è Michael Moore e nemmeno Frederick Wiseman. Ma il doc, soprattutto per l'incontenibile carisma del suo protagonista, si lascia guardare senza mai staccarsi dai canoni del genere. Bella la dedica a quel genio della fotografia che è stato Roberto Masotti (sua moltissime delle copertine della bavarese ECM), morto improvvisamente a riprese finite.
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