Regia di Alain Resnais vedi scheda film
Se interessante è l'assunto - mostrare lo scientismo nelle sue estreme conseguenze, aldilà di ogni facile ipocrisia, pervenendo a un radicale scetticismo dove gli uomini sono esattamente come animali (e a riprenderli con taglio entomologico Resnais riesce davvero, come poteva riuscire a riprenderli come figure puramente oniriche o come complessi pensieri in azione: con camera e messinscena fa davvero quel che vuole - come è interessante che riesca a permare d'atmosfera vagamente crepuscolare pure un - finto - documentario): allo stesso tempo mostrando però questa scienza come nuova religione, come nuova dispensatrice di certezze e d'una mitologia, che non risolvono certo il mistero (il professor Laborit somiglia più al sacerdote, giustamente "illuminato", d'un nuovo culto, ma a stare attenti non gli viene offerta la possibilità di dimostrare una qualsiasi ragione di fondatezza delle sue tesi: sarebbe il film che lo dovrebbe fare, mostrando vicende che la approverebbero, mentre alla fine così non è, prendendo gli intrecci narrati una direzione propria: per questo sono d'accordo che il film "finisce per farsi beffe del determinismo scientifico proprio mentre sembra dimostrarne la fondatezza") - è invece inaccettabile la resa drammatica. Resnais riprende uno spaccato di umanità con deliberato sadismo (la vicenda dell'impiegato in particolare è straziante), ma manca completamente una partecipazione agli eventi: dove tende Resnais? Allo scetticismo, alla crudeltà fine a se stessa, alla melanconia, alla tragedia? A mostrare gli errori umani e le loro terribili, e sempre sottovalutate conseguenze; e come si rapporta col dramma stesso? Con commozione, con velata empatia, con disillusione, con senso di impotenza, con esasperato distacco, con beffardo cinismo? (E sono solo possibilità.) Siamo testimoni non di uno, ma di tre drammi senza esserne resi partecipi, ma anche senza una reale indicazione a dovercene distaccare. Questo mi pare un errore.
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