Regia di Alain Resnais vedi scheda film
"Mon oncle d'Amérique" è un buon film, nonostante che le premesse possano far pensare il contrario. All'inizio, infatti, si ha la fastidiosa sensazione di assistere ad un esercizio di stile prettamente intellettualistico. E invece non è la temuta esibizione di spocchia tipicamente francese, anzi. Il film nasce dalla collaborazione di Resnais con il biologo (ed etologo) Laborit, le cui teorie partono, per dirla in poche parole, dalla considerazione che la vita dell'uomo è influenzata, per non dire decisa, dalle sue esperienze nei primi tre anni di vita. Questa teoria piuttosto limitativa è, secondo me, contraddetta, anziché confermata dalle vicende dei personaggi, anche se le scelte (?) di Jean, René e Janine sembrano ricalcare quelle delle cavie sottoposte in laboratorio a determinati stimoli (in proposito devo dire che Laborit si guadagna la mia immediata antipatia soltanto per le sofferenze che infligge ai piccoli roditori). Ci sono alcune idee interessanti, nel film, a partire dalla constatazione che negli ultimi quindicimila anni il cervello umano non è poi cambiato granché, nonché quella, piuttosto ovvia per la verità, secondo la quale la felicità non ti piomba addosso come l'eredità dell'ipotetico zio d'America, ma va ricercata con tutte le nostre forze. Ma il film è riuscito perché Resnais sa il fatto suo e le imprese rischiose non lo spaventano (vorrei rivedere lo stupendo "Providence") e dunque lo spettacolo di oltre due ore sa essere interessante ed anche divertente - notevole la scena del telefono tra Depardieu e Darrieu - con attori che assecondano alla perfezione il regista, da un Depardieu non ancora debordante a Nicole Garcia che ricorda una bella copia di Gwyneth Paltrow fino al Roger Pierre dai capelli ostentatamente colorati, che sembra un Fabrizio Del Noce plastificato, e nonostante tutto mantiene dentro l'animo del fanciullo che si arrampicava sugli alberi per leggere i romanzi d'avventure.
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