Regia di Dominic Sena vedi scheda film
A priori pensavo si sarebbe assestato sulla sufficienza nel mio giudizio e invece sono contento di poter ammettere di essere rimasto piacevolmente colpito in positivo. A sorpresa, infatti, le mie aspettative sono state non soltanto soddisfatte ma perfino superate. I suoi novanta minuti di durata scorrono a meraviglia, senza un attimo di respiro, a un ritmo talmente serrato (forse sin troppo) che non concede pause di sorta o distrazioni. Si viene catturati al principio e, quasi senza accorgersene, ci si ritrova ai titoli di coda.
Ho notato quelle che in apparenza sembrerebbero essere inverosimiglianze e semplificazioni, però tutto sommato convengo con chi ritiene non sia il caso di prestarvi un'attenzione eccessiva. Perché, a patto di riuscire a sorvolare su questi lievi difetti in virtù di un'affatto disprezzabile spettacolarità, la trama si rivela al contrario alquanto interessante e accattivante, meno scontata del previsto. Spiace solo la costruzione approssimata di alcuni personaggi.
Pure io sono dell'avviso che John Travolta (Gabriel Shear) sia qui un poco sottotono e imbalsamato. Non vince la sfida di abbattere il classico stereotipo del cattivo qui affidatogli. Al suo fianco una Halle Berry (Ginger Knowles) sprecata in una figura femminile ridotta a mostrare le sue grazie. Un piacere per l'occhio maschile, certo, ma non si può non riconoscere che avrebbe meritato di più. In queste condizioni, entrambi sono con facilità surclassati da Hugh Jackman (Stanley Jobson). Naturalmente egli è condannato come sempre a mostrarsi il "duro" e il "fisico". Tuttavia sa quando (e come) cogliere l'occasione giusta per rivelare anche le sue capacità di profilo più sottile e professionale (dal teatro), nello specifico in quei momenti sensibili e in quelle scene più delicate, toccanti, del protagonista assieme alla figlia.
Non si abusa con l'azione fine a se stessa di sparatorie e inseguimenti interminabili. Gli effetti speciali sono all'avanguardia, dato che reggono il trascorrere degli anni e l'evoluzione tecnologica nel settore senza sfigurare davanti ai risultati odierni. Davvero particolare è la fotografia, che sembra applicare un costante filtro color seppia. Si nota senza stonare la colonna sonora di Christopher Young e Paul Oakenfold.
Senza troppo pretendere, allora, Codice Swordfish può sinceramente costituire un buon passatempo. Non si tratta di un esemplare di cinema d'autore, è ovvio, e qualche pasticcio narrativo c'è (benché sia senza gravi conseguenze), ma ciononostante intrattiene comunque con spiccata disinvoltura. Da segnalare è il finale alternativo diffuso in home video, per chi se lo fosse perduto.
Gabriel Shear è uno spietato agente segreto dalle idee patriottiche, che vuole mettere le mani su un fondo governativo illegale, il cui nome in codice è "Swordfish". Per far ciò, ha bisogno del più pericoloso hacker d'America, Stanley Jobson. Grazie all'affascinante "collaboratrice" Ginger e alla cospicua ricompensa di 10 milioni di dollari, necessari per riavere la figlioletta, la spia riesce a convincerlo e insieme organizzano una spettacolare rapina in pieno giorno.
Nasce dai contributi di Christopher Young e Paul Oakenfold, il primo per la parte orchestrale.
Magari una migliore caratterizzazione di certi personaggi. E credo avrei preferito il finale alternativo.
Gabriel Shear. Non può certo vantarsene, ma è meno peggio di quanto temessi.
Stanley Jobson. Dimostra già di avere il potenziale per una carriera promettente.
Ginger Knowles. Una prova più sul piano fisico che di talento attoriale.
L'agente J.T. Roberts. Ordinario, senza infamia e senza lode.
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