Regia di Woody Allen vedi scheda film
Nella filosofia di Woody Allen, la vita non è né buona né cattiva; semmai la si può dire più o meno vantaggiosa. Solo in quest’ottica si può valutare come positivo il finale di una fiaba in cui la principessa sposa per amore un ranocchio, dopo che questo, per magia, è stato trasformato in un ladrone. Tutto è bene ciò che conviene; ed è inutile mettersi a giudicare intenzioni e sentimenti, quando un incantesimo ipnotico può indurre la disonestà negli onesti, e la sincerità negli ipocriti. Per questo siamo tutti un po’ ridicoli quando ci perdiamo dietro le nostre personali simpatie o idiosincrasie, le nostre bizzarre convinzioni ed i nostri particolarissimi sospetti. Ingannevole sopra ogni cosa è l’intuizione, che, in questa grottesca vicenda di criminali da strapazzo, trasporta lui, l’attempato segugio dal comprovato fiuto e lei, la rampante paladina della progettazione, verso una destinazione inconcepibile, alla quale non si sarebbero mai sognati di arrivare. Entrambi, indagando, raccolgono una cantonata dopo l’altra, e nessuno dei due risolve il giallo; le loro ragionate conclusioni sono tutte errate, e l’improvvisa svolta del finale sembra emergere dal nulla. Sarà che, come il Nostro fa dire al protagonista C. W. Briggs, le decisioni prese con la testa non sono affidabili come quelle prese con il cuore, perché mentre quest’ultimo contiene il sangue, che “circola in tutto il corpo, gira, conosce, sa cos’è la vita”, nel cervello, invece, c’è solo la materia grigia, che “giace lì a pensicchiare”.
“La maledizione dello scorpione di giada” è una commedia che usa l’inverosimiglianza come una caustica arma di riflessione sulla mediocrità della vita; e il suo spirito genialmente grottesco è l’anima di una serissima parodia del nostro ego, la cui self-consciousness finisce per scivolare, forse per troppa ingenuità, nella megalomania.
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