Regia di Brad Anderson vedi scheda film
Prove generali per The Machinist. In un istituto psichiatrico (diciamo anche manicomio) si ritrovano a lavorare cinque persone di una ditta edile. Il loro compito è quello di risistemare alcune parti dell’ edificio entro una settimana. Con lo scandire dei giorni cresce anche la tensione che si crea tra i personaggi e soprattutto nel loro rapporto con il manicomio. Su questo duplice binario Brad Anderson crea una storia ricca di atmosfera e suspence. Da una parte l’ intrecciarsi di rapporti sempre più ambigui e non risolti tra i cinque, dall’ altra le esperienze personali all’ interno di questo strano edificio. Che sembra risvegliare in ciascuno di essi un lato nascosto o per lo meno quello oscuro e più fragile. Chi ha paura del buio, chi in piena crisi esistenziale, chi se ne frega e crede di aver trovato un tesoro e chi ancora cerca spiegazioni tra le angoscianti registrazioni delle sedute di una paziente. Il manicomio (come luogo fisico) sembra possedere quella forza malefica che contraddistingueva prima di lui l’ indimenticabile Overlook Hotel. Nel luogo si respirano ancora (e ve ne sono le tracce) gli incubi dei pazienti e le tremende cure a cui venivano sottoposti. Un luogo che non ha dimenticato l’ angoscia e la paura che ha dovuto contenere. E sarà proprio questa forza repressa che troverà un suo sfogo nella psiche di uno dei personaggi.
L’ originalità del regista risiede nel suo fermarsi sui particolari e su immagini che in un primo momento sembrano inutili, ma che poi andrannno a formare, come le tessere di un mosaico, il disegno finale. In questo c’è qualcosa di proprio della natura dei film. Capaci come pochi di costruire simboli e significazioni straordinarie. Lavorare sulle immagini e sul loro significato vuole dire lavorare sull’ essenza stessa del cinema. Il quale si regge completamente su un mondo di segni che con il tempo abbiamo imparato a conoscere. Ma un’ immagine che ritorna insistentemente diventa qualcosa di molto più profondo. Diventa una traccia, un ‘ indizio di una potenziale storia che sta a noi cercare di (ri)costruire. In questo i processi immaginativi dello spettatore prendono pieno potere, perchè attivi dall’ inizio alla fine del film nella costruzione della stroria che stiamo vedendo. La fine, che non stride con le cose raccontate, rivela poi il filo che legava tutte le immagini, rivela il senso stesso di quelle immagini e il loro giusto posto all’ interno della storia. Questo è un modo di fare cinema molto elegante e raffinato. Perchè sfrutta prima di tutto le potenzialità simboliche e immaginative del mezzo stesso. I film di Brad Anderson risultano essere dei mosaici di alta scuola. Dove le tesssere ci sono tutte ma della loro vera disposizione ne avremo cognizione solo alla fine.
Un film inquietante e carico di attesa, dove sembrano perdersi in unico ambiemte la psiche umana e la sua misteriosa natura. Nel luogo che più di tutti ha fallito nel curare i nostri disturbi mentali non sembra sbagliato far esplodere quella vera follia che tanti pazienti, purtroppo, hanno conosciuto, impotenti, tra quelle oscure mura.
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