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Fantasmi da Marte

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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La recensione su Fantasmi da Marte

di FilmTv Rivista
8 stelle

I “Fantasmi da Marte” sembrano Comanches. Oppure gli africani di “Zulu” (il film di Cy Endfield), col piercing dappertutto. Allacciatevi le cinture perché il film di John Carpenter vola alla velocità della luce. I guerrieri del pianeta silenzioso sono Melanie (Natasha Henstridge), una donna poliziotto; la sua esigua truppa, destinata allo sterminio, e un fuorilegge di nome Williams (call him Desolation!). Un patto di reciproca alleanza, l’assedio in un fortino, una battaglia all’ultimo sangue contro una nemica civiltà e il dollaro d’onore della ricompensa. Le regole del western sono rispettate, il verbo di Howard Hawks pure: Natasha Henstridge e Ice Cube sanno che il loro sporco lavoro è un impegno morale, prima di tutto con se stessi. Ma questa volta Carpenter guarda alla classicità con sguardo obliquo, perché irrompe il digitale (l’“occhio” dei marziani) e perché la linearità del racconto è fatta a pezzi dai flashback, dalla polifonia delle voci che riecheggiano gli eventi in modo diverso. Chi ci dice che non sia tutto l’incubo di una civiltà che non sa sopravvivere se non “mutandosi”, di film in film, in una tirannia diversa (qui matriarcale, in “Fuga da Los Angeles” teocratica)? O un sogno lisergico di Melanie, strafatta di pasticche? Il tema della droga, della tossicodipendenza della protagonista, non è così secondario come sembra. Attraverso l’alterazione chimica, lei riesce a cacciare il Male che l’ha invasa. Spunto per una riflessione drammatica (anche se Carpenter a Venezia ha ironizzato su quelle pasticche) sul tema della trasfigurazione. Molto New Horror, molto anni ’80: l’anima e la psiche - non solo il “corpo” (“La cosa”), non solo lo sguardo (“Essi vivono”) - mutano in “altro da sé” per evidenziare la manipolazione. In “Fantasmi da Marte” si respirano la passione per personaggi laconici, tratteggiati bruscamente, affascinanti al di là degli stereotipi; la durezza e l’essenzialità estetica dei film americani di “serie B”. Ma è unicamente una connotazione di tipo economico. Il film è costato quanto una sola sequenza di “Jurassic Park III”, ma solo sul Pianeta Rosso si respira il vero Cinema.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 39 del 2001

Autore: Mauro Gervasini

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