Regia di Lorcan Finnegan vedi scheda film
Antropomorfe zecche predatorio-colonialiste.
Roma (quartiere Salario, 1951) ore 11, Dacca (sub-distretto di Savar, 2013) ore 08:45, Cebu City (zona manifatturiera, oggi) ora X (a guisa di Valenzuela City, Manila).
“Nocebo”.
In medicina e psicologia, in parziale antitesi con placebo, ogni fattore o atteggiamento emozionale che induce stati d’animo quali insicurezza, angoscia, patofobia, con conseguente influenza negativa sullo stato di salute.
“Effetto Nocebo”.
Risposta patologica dell'organismo umano in alcuni soggetti particolarmente suggestionabili che, temendo l'insorgere di un sintomo, ne favoriscono la comparsa; tale effetto si osserva anche in seguito alla somministrazione di un farmaco che prevede effetti collaterali, pur trattandosi di un placebo.
Composto dal s. m. 'effetto' e da 'nocebo' ('nuocerò'), prima persona singolare del futuro semplice del verbo latino 'nocere'.
https://www.treccani.it/enciclopedia/placebo-e-nocebo/enciclopedia-Italiana
Se c’è una cosa buona di “Servant” è che non ha creato epigoni, ed anche se questo “Nocebo” (un “Parasite” che agisce “allo scoperto”), l’opera terza diretta da Lorcan Finnegan dopo “WithOut Name” e “Vivarium” e scritta dal suo sodale sceneggiatore di sempre Garret Shanley, sembra introiettarne alcuni stilemi, assoggettandovisi, alla fine, paradossalmente, essendo molto più lineare e prevedibile (ma meno prolisso, ripetitivo e sfiancante), oltre (e pure per via del fatto) che, per “forza” di cose, breve (90 minuti contro 20 ore), riesce, volente o nolente, a sganciarsi da questo meccanismo.
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Eva Green - che, col passar del tempo, via via e sempre più va rassomigliando a suo “fratello” Louis Garrel - non sforna qui una delle sue prestazioni migliori (in “d’Après une Histoire Vraie” e “Proxima”, ad esempio, è bravissima), ma con la sua deuteragonista/antagonista Chai Fonacier (la scena in cui inizia a ballare durante una festa di strada al ritmo di un budots è da mandare a memoria) organizza comunque un malato due-ll/tt-o infernale niente male. Chiudono il cast un buon Mark Strong, la piccola Billie Gadsdon ("the Midwich Cuckoos") e Cathy Belton.
Fotografia di Jakub Kijowski (“Córki Dancingu / the Lure”) & Radek Ladczuk (“Babadook”, “the Nightingale”), montaggio di Tony Cranstoun (collaboratore abituale del regista) e musiche di Jose Buencamino.
Nota a margine. Una piccola similitudine formale, del tutto casuale, con il pullo doppelgängeroso del di poco precedente, quasi coevo, "the Hatching", e un'altra, più sostanziale, con l'anfibio insettiforme frequentatore di cavi orali altrui di "Twin Peaks 3- the Return".
Dalla mentale canopia erboristica di “WithOut Name” passando per i cuculi mimetici (gli esseri umani che sfruttano la natura e gli alieni che sfruttano gli esseri umani) di “Vivarium” alle antropomorfe zecche predatorio-colonialiste di “Nocebo”: il cinema di Lorcan Finnegan si conferma imperfetto (il “colpo di scena” analetticamente “costruito” lungo tutto il percorso non è tale e non vuole esserlo, essendo letteralmente declamato nel prologo), generoso, “potenziale” e tanto irrisolto (non nella trama: nell'essenza) quanto risoluto e inesorabile: insomma, ben sopra la media.
Rehas sa bintana / Kandado sa pinto...
...Sa pabrikang naging pugon.
(Sbarre alle finestre / Porte serrate...
...Nella fabbrica che è diventata una fornace.)
* * * ¼ (½) - 6.625
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