Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Il talento e la fantasia sono doti che si hanno o non si hanno, non le compri e non le impari, non si vincono i campionati a progetto perché se la squadra è forte viaggia a pieno regime fin dalla prima giornata, alla prima inquadratura, al primo fischio di avvio, alla prima nota che suona come un ciak, specialmente se quel ciak lo batte Sorrentino, uno che stringerà nel suo pugno il trofeo più ambito proprio perché come disse il signor Pelè "Nella vita il pareggio non esiste" perchè alla fine davanti a Dio hai vinto o hai perso e non c’è bisogno di aspettare la morte per capirlo ma basta guardarsi allo specchio, un po’ come accade agli eroi sconfitti di questo film nella scena madre: quando ormai in fondo al baratro si specchiano l’uno nell’altro al mercato ittico e per un breve momento senza chiedersi niente capiscono di avere subito lo stesso destino, di essere diversi pur avendo lo stesso nome, di aver tracciato la stessa parabola pur essendo un timido e uno sbruffone, addirittura il freddo filtro del televisore a distanza di poche ore diventa il loro intermediario interlocutore per fare chiarezza su ciò che gli è rimasto da fare, su quella parola che non è riuscita ad uscire ed ora esce attraverso una TV per far scendere in campo “L’uomo in più”.
Una volta pensavo che per risolvere tutto l’idea migliore fosse quella di Antonio Pisapia: dopo anni di airspotting andare finalmente in Olanda a visionare un giocatore veloce come un colpo di pistola ma poi crescendo ho capito che è molto meglio presentarsi come un fantasma davanti a chi ti ha fottuto la vita, infilargli un coltello nel cuore e dimostrare così che lo schema dell’uomo in più ideato da Antonio Pisapia poteva funzionare, nella vita può succedere di tutto e si può continuare a giocare e cantare finché te lo lasciano fare, finché ti viene permesso di farlo.
L'uomo in più è Sorrentino e Sorrentino è l’uomo in più che mancava al cinema italiano, con il suo stile martellante da veterano, con le idee chiare al primo concerto, l'ho ribattezzato il Tarantino italiano che si intona anche bene alla fiction pulp di Sorrentino;
la sua primissima impresa sembra oscillare fra immersioni sottomarine con l’alone di un incubo del passato e spogliatoi bollenti dove rabbia e aspirazioni sfilano come passanti, ma in realtà è un ossessione del presente, come la voglia di fare l'allenatore come un sogno che può diventare realtà se non fosse per la squadra, la tua squadra che ti sostiene finché sei disposto a cantare in mezza rovesciata e sottostare alle regole dello spettacolo che ti promette e concede fino al giorno buio, quel giorno che inesorabilmente arriva per tutti, belli e brutti, ricchi e poveri.
Ciò che fa la differenza è il grado di oscurità di quel buio, il suo raggio di estensione e allora in quella macchia nera c'è spazio sia per Antonio Pisapia che per Antonio Pisapia e la sua notte brava, la sua voglia di essere potente, la sua capacità di essere un Dio cantante libero e non stopper come Antonio Pisapia.
Accomunati dallo stesso nome e da un destino comune i nostri eroi sono in auge negli anni ottanta: Antonio con i suoi baffoni alla Pruzzo passa dalle promesse del presidente subito dopo aver segnato un goal che si fa una volta nella vita ad una spirale a vortice nella solitudine, l’abbandono seppur convinto di poter fare l’allenatore e sperimentare lo schema con l’uomo in più.
Tony è un cantante alla Califano che ha visto il carcere per colpa della droga ma manda in sollucchero le sue fans con la fede al dito o giovanissime finché proprio dalla madre nera come l’inchiostro di un polipo arriva la mazzata alla sua carriera e anche per lui la vita piomba nella solitudine e la discesa nel baratro comincia lenta e scura come la cosa che gli è più cara, la notte: chi gli scodinzolava dietro gli sputa davanti e je te facc nu favore pacchè sta macchina tenn o stess mercat che tenn tu.
Sorrentino scrive e riprende come un mago del centrocampo dotato di otto ottave di estensione vocale, compone un film pieno di interrogativi sospesi, rimandi interni e umorismo spiazzante, fantasmi che compaiono in un sogno con il volto di qualcuno che non dovrebbe essere o nella realtà con lo stesso nome di chi è ormai un fantasma, collega due personaggi sconosciuti con luoghi comuni e istantanee sul muro, una tavola da subbuteo sul quale sistemare lo schema vincente e un tavolo di vetro con su sopra mosaici di conchiglie sul quale ricomporre il proprio equilibrio, filma con estrema disinvoltura lo sfogo di un allenatore all’intervallo come se fosse una partita vera ed introduce il suo protagonista all’ingresso in campo dai tacchetti ai baffi fino all’uscita dal sottopassaggio con un’eleganza stilistica impeccabile ma allo stesso tempo riprende il suo protagonista sul palcoscenico dagli sguardi della gente come fosse un videoclip.
Il saper fare film significa rispettare ogni fase della realizzazione, se manchi un passaggio non arrivi certo al tiro e indebolisci il tutto, ma Sorrentino scrive con penna tagliente scene e testi, poi filma e dirige con fantasia totale, infine monta a dismisura come la sua panna filmica colpita dalla frusta e mette in mostra due attori smisurati: da un lato Andrea Renzi con il suo accento centrale è un calciatore perfettamente sconfitto dalla sua bontà d’animo e la sua innocenza che oscilla tra il serio professionismo prima del fattaccio all’umorismo autoreferenziale quando ha gli incubi delle ballerine e becca la moglie a mezzanotte al telefono, sistema le pedine del subbuteo e l’apostrofa dicendole “I due mediani cazzo! In questa fase di gioco neanche se corrono come Mennea riescono a recuperare” innescando una vena di follia che emerge sempre più nell’ultima parte, dall'altro lato Tony Servillo entra a voce spiegata nel cinema italiano con uno dei personaggi più intensi degli ultimi anni che tratta tutti come merda finchè sta ben saldo sul suo trono a forma di cesso per poi diventare lui la merda da maltrattare quando in quel trono c'è cascato dentro portandosi dietro tutte le sue sfighe passate presenti e future, le farà scendere nello scarico aggrappandosi alla catena e lasciando il segno con la sua arringa finale, testimonianza schietta dell’uomo in più.
Il trailer del film è un capolavoro del capolavoro che ebbi la fortuna di vedere a Napoli quando ero in vacanza anni fa e mi diede subito la sensazione di grande cinema e l’idea di assistere a tutt’altro film che è comunque il mio preferito di Sorrentino fino ad oggi ed uno dei miei preferiti di sempre.
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