Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Napoli, primi anni 80. Antonio Pisapia è il nome di due uomini all'apice della notorietà: uno è un cantante di musica leggera abituato ad esser riverito e coccolato, a dare ordini, a scegliersi le donne e a trattare gli altri uomini come pezze da piedi; l'altro è un calciatore, uno stopper esperto dallo stile di vita irreprensibile e dal carattere schivo e riservato. Ma quando la sorte decide di voltargli le spalle, per loro inizia un rapido ed inesorabile declino: il primo, cocainomane e già arrestato nel 1970 per spaccio, finisce di nuovo sotto processo, stavolta con l'accusa di aver stuprato una minorenne, mentre il secondo, reduce dal suo gol più bello, subisce in allenamento la rottura dei legamenti del ginocchio destro. Per entrambi è un colpo ferale ad una carriera fino ad allora lanciata: Tony (così si fa chiamare l'artista vizioso) non ha più mercato, e si trova costretto a ripartire dalle feste di paese o (nella migliore delle ipotesi) dalle crociere; e Antonio, piantato in asso dal proprio fisico, appende gli scarpini al chiodo ma coglie la palla al balzo per mettersi a studiare da allenatore, dedicandosi con passione ad un'idea tattica innovativa e spavalda che nessuno mai gli concederà l'opportunità di mettere in pratica.
L'uomo in più, film d'esordio di Paolo Sorrentino, è un progetto ambizioso ma riuscito a metà.
A convincere è prima di tutto la mano del regista, capace di inquadrature e movimenti non banali oltre che di scene notevoli per l'impatto emotivo e per la perfetta sintesi tra struttura e contenuto, tra forma e sostanza, in grado di gestire con pari sensibilità due personaggi estremamente diversi che in comune oltre al nome hanno soltanto la vocazione per la sconfitta, e di scandagliarne le personalità con apparente semplicità inserendosi con pudore nelle loro sfere private; convince oltremodo Toni Servillo, protagonista di una prova intensa e calda, carica ma mai caricaturale, nel ruolo di un uomo, Tony, egoista ed egocentrico, sposato ma anaffettivo, illuso di poter bastare a sé stesso ma in realtà terribilmente solo, accecato da un successo effimero scambiato per onnipotenza; convince con qualche riserva Andrea Renzi, che lavora per sottrazione (talvolta eccedendo) per restituire la figura di Antonio, il calciatore che, privato del campo da gioco, si rifugia in un'ossessione che lo porta a perdere l'amata moglie l'autostima e la voglia di lottare; convincono nel complesso i caratteri di contorno, e convincono le atmosfere le luci ed i colori, che smorzano il kitch degli interni suggerendo un senso crescente di rassegnazione.
A non convincere è però la sceneggiatura (dello stesso Sorrentino) che, semplice fluida e lineare per tre quarti, cerca di strafare e si ingolfa sul più bello, quando, nel tentativo di congiungere a forza le strade dei due omonimi perdenti, inciampa in un epilogo frettoloso e superfluo seppur nobilitato da belle immagini.
L'uomo in più è dunque un film doloroso e tragico ma sostanzialmente irrisolto, un film le cui singole parti valgono più della loro somma, girato da un regista evidentemente dotato ma ancora troppo istintivo e disordinato che, consapevole e fiero della propria bravura, si fa prendere dalla smania di marcare la (già chiara) distanza dal livello medio(cre) del cinema italiano (contemporaneo), finendo per specchiarsi, perdere la misura, e deludere in parte le buone aspettative create.
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