Regia di Giorgio Molteni vedi scheda film
Italia, 1943. Quattro mastri arrivano a Terrarossa, paese dell’Aspromonte dimenticato da Dio e dagli uomini, ancora più ostile causa guerra in corso, con gli abitanti affamati più del solito, la farina che non c’è e i padroni del comune che sfruttano e si disinteressano dei poveri e della povertà. C’è da costruire una specie di casa popolare, destinata a chi vive nelle stalle, a chi non ha un tetto e molti figli da sistemare perlomeno all’asciutto. Il cantiere pare una manna dal cielo, ma è solo un cinico miraggio: uomini e donne lavorano come bestie per quattro soldi. L’unico a tentare di cambiare lo status quo è Filippo, giovane e bello, attratto irrimediabilmente dalle donne: da Cicca, da Concetta, da Rosa, da Giuseppa, da Angela, da Carmela. Il “dongiovanni in Calabria” vivacchia tra sottane e incontri furtivi quanto basta per rendere la vita e la fatica meno amara, anche se i suoi giochi pericolosi cozzeranno contro le inevitabili gelosie, gli sguardi torvi e le insane incazzature di quel che resta della popolazione maschile di Terrarossa. Il regista ha tre modelli letterari dichiarati: “I miserabili” di Victor Hugo, “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni e “La teda” di Saverio Strati. I primi due sono, ovviamente, evocati e filtrati nella fin troppo carica narrazione; il terzo è la fonte primaria d’ispirazione. Se c’è un difetto, è nella mancanza di coraggio: Molteni avrebbe dovuto credere di più nel suo bel progetto, alimentare il reparto melodrammatico, osare maggiormente nelle scene erotico-passionali. Belle le facce dei protagonisti. Bellissima quella di Monica Comegna.
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