Regia di Stefano Sollima vedi scheda film
Roma dall’alto, fiamme Neroniane in lontananza, frequenti blackout elettrici, un ragazzo entra ad una festa privata che sembra rimandare alla versione seria de “Il complesso della schiava nubiana”. Al contrario di quell’episodio con Ugo Tognazzi non ci sarà una irruzione perché bastano microcamere nascoste per filmare il lupanare. Manuel, il giovane avventore, è una spia anomala, una coercizione lo obbliga. E’ figlio di un ex componente della banda della Magliana Daytona, ora in preda alla demenza. Manuel scappa dalla festa clandestina, qualcosa non lo convince, Vasco e Bruno sono carabinieri alla mercè di emissari potenti e sono i suoi mandanti. Il giovane chiede aiuto a Polniuman e Cammello, vecchi amici del padre e membri della Magliana. Adagio è una sinfonia solenne orchestrata con maestria da Stefano Sollima. L’assunto sociale è un pretesto, più o meno come in “L’ultima notte di Amore”. Tutti per guadagnare di più devono prestare servizi extra e illegali. In Adagio i personaggi si ergono a catalizzatori di pathos e azione: Daytona ha il pallino dei numeri ma quando si risveglia dal torpore sono guai grossi (la scena di spalle in auto è pazzesca) e Toni Servillo è memorabile (quando mai non lo è!?). Polniuman lascia il segno in poche pose al buio e steso a terra mormora frasi sibilline (non lo troverete mai). Valerio Mastandrea inedito. Cammello è un rudere d’uomo, ancora massiccio nel fisico, rallentato nei movimenti non nel pensiero, dopo gli iniziali tentennamenti e diffidenze verso Manuel (per via del padre ex sodale), va in soccorso del ragazzo e nel finale…Picchio Favino si conferma interprete superlativo. Vasco è l’ambiguità delle forze dell’ordine deviate: buon padre separato con due figli a carico, crudele e ostinato nei secoli (in)fedele nella professione. Adriano Giannini è la sorpresa di Adagio.
Sollima firma la sua opera più struggente, venata di frame umani (le cuffie di Manuel donate al figlio maggiore di Vasco). Tre leoni al tramonto ritratti in case gabbie come le loro vite. Il crepuscolo non li fa cedere all’onore di malavitosi, solidali e onesti con Manuel, feroci con gli sbirri disonesti. La canzone manifesto di Franco Califano sancisce la morale conclusiva di un mondo finito. La scena finale è spettacolare: vecchio cinema di genere italiano modernizzato dal regista. La morte di questi eroi/antieroi/criminali e figli di puttana rievoca l’indimenticabile camminata terminale di Frank White nel seminale “King of New York” di Abel Ferrara. Un adagio apocalittico, non ci sarà domani!
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