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Adagio

Regia di Stefano Sollima vedi scheda film

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La recensione su Adagio

di Gangs 87
7 stelle

“Brucia Roma, brucia Roma

Co' li romani

Brucia Roma, brucia Roma

Co' li cristiani

Brucia Roma, brucia Roma

Er parlamento

Brucia Roma, brucia Roma

Cor Papa dentro”

 

Cantava Antonello Venditti nel 1973 e non è un caso se questo brano viene in mente guardando l’ultimo film di Stefano Sollima. Perché, in fondo all’inquadratura è proprio quello che vediamo: Roma brucia. Non si sa bene perché e per come ma tutto ha preso fuoco, nel caldo torrido e insopportabile di un’estate capitolina, generando continui black-out. In questo caos che sembra impossibile da normalizzare, si muove il giovane Manuel che, vittima di un ricatto, finisce coinvolto in un giro losco dal quale non riesce ad uscire. Quando chiederà aiuto ai vecchi amici del padre, ex-criminali, scoperchierà un vaso di pandora di vecchi conti mai saldati e vendette mai compiute.

 

Stefano Sollima si muove in campo che sembra conoscere bene. Tra carabinieri corrotti e uomini politici collusi e viziosi, imbastisce una trama che si muove, abilmente, tra passato e presente. La protagonista è sempre Roma, madre vendicatrice, che culla i suoi figli, mai amabili, tra illusioni di successo e disfatte concerete e inaccettabili. Sollima ci catapulta in un mondo così lontano eppure così vicino, in un’era in cui media generano scandali che poi prosperano sulle piattaforme social, come funghi velenosi. In un mondo in cui l’apparenza governa la sostanza, gli uomini di un tempo, legati a codici d’onore ormai caduti in disuso, non sono altro che relitti inermi, in attesa della morte.

 

Brucia Roma, come le anime dei protagonisti, che si affannano a “rimettere tutto in ordine” prima che l’alba si porti via il buio. Quel buio dentro il quale si muovono bene i fantasmi e i vili. Quel buio che mostra il lato oscuro, bruciante e vero delle loro anime ormai dannate. Quando viene il giorno, tutto è fumo, bianco e cenere nera. L’incendio sembra domato ma invece è solo nascosto dal sole che prova ad illuminare un mondo ormai opaco, troppo corrotto per mostrarsi limpido sotto il sole.

 

Ma è durante il giorno che le maschere cadono che le verità si mostrano e si rivelano. Mai salvifiche, eppure così necessarie. Manuel pivello ignobile ed egoista, per salvare la sua bella faccia fa uscire dal buoi i corpi dormienti e decadenti di Polniuman prima, uomo cieco perché incapace di guardare cos’è diventato il mondo, e di Cammello poi, ormai vicino all’abisso della morte impellente che da anni si limita ad una sopravvivenza becera e insignificante. Infine di Daytona, padre malato e sofferente verso il quale ha solo moti di pietà e mai di compassione.

 

I tre, in passato componenti della banda della Magliana, seminatori di morte e terrore, ora non sono nemmeno l’ombra degli uomini che furono e tentano, invano, di far valere le loro vecchie leggi che, invece, avranno la meglio su di loro.

 

La cosiddetta "trilogia della Roma criminale" di Sollima si chiude qui e mai finale fu più degno. Grazie alle straordinarie interpretazioni di Valerio Mastandrea (Polniuman), Toni Servillo (Daytona) e l’irriconoscibile e quanto mai camaleontico Pierfrancesco Favino (Cammello), in quella che è un’interpretazione straordinaria che lascia sgomenti ad ogni sua apparizione davanti alla macchina da presa, Sollima racconta un altro spaccato di quella Roma oscura e corrotta che tanto gli piace raccontare. Sempre la stessa eppure mai uguale a se stessa. Una pellicola in cui prevalgono le ombre, le tinte scure, rappresentanti di quel volto troppo poco raccontato eppure capace di tenere in scacco, da secoli, l’intera eterna città.

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