Regia di Davide Ferrario vedi scheda film
Lo si potrebbe definire come un ritratto cubista quello che il regista Davide Ferrario ha realizzato di Umberto Eco, un nome che non ha bisogno di alcuna presentazione. Tanto era proteiforme, imprevedibile, sterminata e trasversale la cultura bibliografica del grande saggista, semiologo e romanziere alessandrino, tanto riesce difficile condensarne i tanti contenuti in un film peraltro di breve durata. A partire dalle stanze della enorme casa milanese dove ha risieduto fino al 2016 (l'anno della morte), nella quale erano raccolti 1.200 libri antichi e 30.000 libri moderni, si snoda un racconto articolato in tre capitoli (scrivere, ricordare, mentire), più un epilogo nel quale la distanza che separa cultura alta (Dante, la controversia Bacon/Shakespeare) e bassa (Superman, i social media) diventa imprendibile e i confini tra l'una e l'altra - tra curiosità cabalistiche, immagini di volumi antichissimi, esoterismo, ma anche scienza e rigore filologico - estremamente porosi. In questo ritratto davvero insolito dello scrittore che, col concorso del genio civile, fu sfrattato dall'abitazione precedente per timore che i libri facessero crollare i muri, troviamo un'impaginazione tutt'altro che ovvia, nella quale le testimonianze dei familiari più stretti (i figli Carlotta e Stefano, la moglie Renate Ramge) vengono cucite con diverse interviste all'autore di best seller come Il nome della rosa e Apocalittici e integrati e con pagine importanti dei moltissimi scritti dello studioso, interpretati da attori tra i quali spiccano Giuseppe Cederna e Mariella Valentini. Sullo sfondo, le musiche di Carl Orff e le immagini di alcune delle biblioteche più incantevoli del pianeta, tra le quali la Binhaj Library di Tianjin, in Cina, toglie davvero il respiro, come direbbe con consolidatissimo luogo comune una che conosco. Alto e basso, appunto.
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