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Rheingold

Regia di Fatih Akin vedi scheda film

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La recensione su Rheingold

di diomede917
8 stelle

CIAK MI GIRANO LE CRITICHE DI DIOMEDE917:RHEINGOLD

In periodo di “Dissing” tra cantanti/cantautori popolari e Rapper/Trapper è veramente strano vedere nei cinema la storia di Xatar.

Una vera icona dell’Hip Pop tedesca, un uomo che non è solo un rapper. È un autentico business man che ha creato un vero impero trasformando in musica non solo il suo dolore ma le sofferenze degli artisti che compongono il suo universo discografico.

Pensate quando quel genio di Fatih Akin si è imbattuto nella sua autobiografia che corto circuito si è creato nella testa turco-tedesco, nell’imbattersi nella picaresca vita di questo eclettico curdo realizzando un film che è un giusto mix di Biopic, Heist Movie tutto strizzando l’occhio a grandi classici come lo Scarface di Brian De Palma.

Rheingold, titolo preso in prestito dall’Oro del Reno di Richard Wagner che ha un grandissimo valore simbolico nella vita del protagonista, condensa in 138 minuti tutta la vita malavitosa di Giwar Hajabi prima diventare uno stimatissimo manager musicale.

Una vita perennemente segnata dalle sbarre.

Dalle sbarre in Iraq con cui sia apre il film dove viene torturato dopo una rapina d’oro che ha riempito tutte le pagine di giornali in Germania, alle sbarre che ha vissuto fin da bambino in quanto curdo in un mondo che si stava inginocchiando agli Ayatollah.

La storia parla della trasformazione di Giwar letteralmente “Figlio della sofferenza”, nato in una grotta piena di pipistrelli da una madre ribelle e combattente, al buio, le uniche luci quelle delle bombe e un cordone ombelicale tagliato a colpi di pietra in Xatar “IL PERICOLOSO”, il ragazzo che a furia di allenamenti a mani nude è riuscito a picchiare la banda di bulli che lo aveva pestato da bambino diventando un vero boss nel quartiere multietnico e altamente delinquenziale dov’è cresciuto.

La storia di un uomo che ha sempre avuto la musica come esempio di riscatto sociale. Grazie ad un padre pianista e direttore d’orchestra che gli ha impartito la disciplina del metodo in tutto il periodo di rifugiato politico a Bonn, un padre da cui si è sentito tradito negli ideali di famiglia e di orgoglio. Un tradimento che ha trasformato Giwar in una sorta di Piccolo Cesare per mantenere la mamma e la sorellina, un uomo che tra spaccio e violenza estrema sogna di amare la bambina che abita nel palazzo di fronte e che ha scelto la strada della legalità e del lavoro sodo per andare avanti.

Fatih Akin, che di recente ha deciso di raccontare storie di persone che hanno il dolore e la morte nell’anima come la madre vendicatrice di Oltre la notte o il serial killer del Mostro di St.Pauli, con Rheingold fa un film che rimanda al primo Spike Lee e al Martin Scorsese che racconta i suoi personaggi sopra le righe della New York dei tempi che furono.

Grazie anche alla faccia da ergastolano Emilio Sakraya che interpreta alla perfezione Xatar (andate a guardare le immagini del vero Xatar per credere), Rheingold ci fa vivere questa storia di caduta, redenzione e salita come fossimo parte integrante della storia. Facendo vivere il tormento di Giwar come fosse il nostro tormento anche se stiamo parlando di un curdo trapiantato in Germania e torturato nelle carceri irachene.

Un cattivo consapevole di aver fatto tante cose brutte, di aver pagato per quelle cose brutte e di dover rendere conto solo a chi realmente lo ama come sua figlia alla quale confiderà dove si trova realmente “L’Oro del Reno”.

Voto 7,5

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