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A Cooler Climate

Regia di Giles Gardner, James Ivory vedi scheda film

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La recensione su A Cooler Climate

di pazuzu
6 stelle

L'Afghanistan del 1960 funge per Ivory come meta esotica nella quale fuggire per emanciparsi e al tempo stesso spulciarsi a fondo l'ombelico: con A Cooler Climate (completato assieme al montatore Giles Gardner), l'anziano regista statunitense porta a termine questa auto-esplorazione a favore di telecamera (o meglio, di microfono).

 

 

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Frugando tra vecchi scatoloni, il regista James Ivory ritrova le bobine di quello che doveva essere un documentario sul fiume Kabul e sulla gente che ne abitava i dintorni in un Afghanistan che nel 1960 veleggiava in una situazione ben più pacifica dell'attuale. Giunto lì con una dote di 20 mila dollari, tornò a New York l'anno seguente dopo aver accantonato il progetto iniziale e averne licenziato invece un altro, nato quasi per caso, su delle miniature indiane. Il ritrovamento di queste bobine, diviene per il regista lo stimolo per dare alla luce le relative immagini, contrappuntandole con la propria voce a narrare la curiosità che lo guidò, incrociando a sua volta il racconto della propria infanzia nell'Oregon, dove il padre lavorava il legno per una ditta che forniva la mobilia per dei set cinematografici mentre lui chiedeva come regalo di Natale una casa per le bambole finendo preso in giro dagli adulti, con la lettura di ampi stralci della biografia di E. M. Foster sul principe Babur, che a Kabul ci aveva vissuto secoli addietro, che già nel '500 raccontava la propria attrazione per gli uomini, e che dopo aver fondato la dinastia Moghul che avrebbe regnato in India per 300 anni, aveva disposto di farsi riportare lì per il riposo eterno dopo la morte.

 

 

Paradossale, al giorno d'oggi, è il fatto che il giovane Ivory avesse scelto di visitare lo stato oggi controllato dai talebani perché allora percepito, alla luce della lettura che aveva idealizzato e che ora condivide con il proprio pubblico, potenzialmente più libero dell'angolo di Stati Uniti in cui aveva passato la gioventù. I dettagli personali ed intimi, come gli accenni ai contrasti con i familiari relativamente alla propria omosessualità, sono trattati con una leggerezza che può confondersi con la freddezza, ma che, al giorno d'oggi e a 94 anni suonati, è più probabilmente un pudore estremo figlio di una sopraggiunta pace interiore. L'Afghanistan del 1960 funge quindi per Ivory come meta esotica nella quale fuggire per emanciparsi e al tempo stesso spulciarsi a fondo l'ombelico: con A Cooler Climate (completato assieme al montatore Giles Gardner), l'anziano regista statunitense porta a termine questa auto-esplorazione a favore di telecamera (o meglio, di microfono), e spostando le lancette avanti di qualche mese conclude il racconto mostrando la quadratura del cerchio, ovvero l'avvenuta individuazione della propria strada, che avviene quando, da poco tornato a New York, proprio per merito dell'altro docufilm messo a punto nel corso del suddetto viaggio, inizia la collaborazione con il compagno di una vita e di una carriera, Ismail Merchant.

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