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Ehi amigo...sei morto!

Regia di Paul Maxwell (Paolo Bianchini) vedi scheda film

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La recensione su Ehi amigo...sei morto!

di scapigliato
10 stelle

Ultimo e ispiratissimo spagowestern di Paolo Bianchini. Il regista di “Lo Voglio Morto” e di “Quel Caldo Maledetto Giorno di Fuoco” (“Dio Li Crea... Io li Ammazzo!” non è a questi paragonabile), firma il più onirico e impalpabile dei suoi titoli. Molto barocco e silenzioso, privato di molti mezzi iconografici, denutrito di dialoghi e spiegazioni a vista, il film è tutto concentrato sulle atmosfere di sottrazione e privazione. Inscena l’ossatura del western senza edulcorarla di polpa inutile. Siamo infatti in un abbandonatissimo e tetro villaggio De Laurentiis, infangato e coperto da un cielo grigio invernale adattissimi per i toni del film di Bianchini. Dei banditi arrivano in paese e pestano l’ufficiale postale, ovvero Wayde Preston, poi infilano tutti i pochi e poveri e derelitti abitanti nel trading post, fanno fuori un vecchietto che dava loro filo da torcere, attendono l’arrivo della diligenza per poi assaltarla uccidendone i postiglioni e scappare con la diligenza stessa. Il tutto raccontato con i codici del gotico all’italiana, fatto di pose e inquadrature crepuscolari, di colori freddi e tristi, da una messa in scena scheletrica, da un risparmio iperbolico dei dialoghi quindi anche delle spiegazioni, e infine dall’uso di bei primi piani significativi concentrati soprattutto sul volto granitico di Wayde Preston e su quello laido di Aldo Berti. La forza del film sta infatti anche nel tratteggio dei caratteri. Molto fumettistici, sono loro a dare un’anima a quei luoghi prosciugati di ogni vitalità. Sono loro, Aldo Berti su tutti, a consegnare la pellicola nel memoriale degli Spaghetti-Western. Il film è impreziosito dalla presenza di Marco Zuanelli, qui nel ruolo di una vita, che nei panni di El Loco, vagabondo insinuoso e a tratti sulfureo, accompagna come una presenza spiritica, sicuramente sinistra, il viaggio del protagonista alla caccia dei banditi. Questa seconda fase della vicenda vede infatti la perpetuazione del linguaggio iniziale adottato da Bianchini per definire i confini onirici del suo western. Una miniera abbandonata, una cappella illuminata da mille ceri e da un organo dal suono inquietante, piuttosto che gli affondi lascivi del lubrico Aldo Berti, uno dei migliori villain del western all’italiana, una maschera folle seconda solo a Klaus Kinski. Le sue isterie sessuali scandiscono il passo malsano di tutto il film, coinvolgendo ambienti di conosciuta fama spettrale come i villaggi e le mine abbadonate, e soprattutto gli ambienti naturali. Girato fuori Roma, il film si avvale degli scenari naturalmente gotici di cui il paesaggio centroitaliano è pieno e giustamente famoso. Canyon ricavati da formazioni sbricciolose di terra riportata, e deserti improbabili ma dalla suggestione fantastica, con quell’insieme di elementi malinconici e mestizi che fanno letteraria una terra abbattuta e disperata. Un’icongrafia da favola nera dove male non ci starebbero spettri e piccoli demoni, ma forse il film ne è pieno e noi non li vediamo. In ultimo, “Ehi Amigo... Sei Morto!”, resta forse il titolo migliore di Bianchini, se non altro per il rapporto mezzi/qualità. A impreziosire la pellicola, oltre che a tutte le ispirate modulazioni narrative scelte ad hoc per interpretare l’aria gotica che si respira, c’è anche il bel tema musicale cantato da Don Powell su musica di Carlo Savina: “Ehi Amigo... You’re Dead!”.

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