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The Death of David Cronenberg

Regia di Caitlin Cronenberg, David Cronenberg vedi scheda film

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La recensione su The Death of David Cronenberg

di mck
8 stelle

Quo Vadis, Homine.

 

Scritto e diretto assieme alla figlia Caitlin, “the Death of David Cronenberg” del 2021 è il quarto cortometraggio realizzato in un quarto di secolo (“Camera” del 2000, “At the Suicide of the Last Jew in the World in the Last Cinema in the World”, frammento di “Chacun Son Cinéma”, del 2007, e “the Nest” del 2013, più il book-trailer di "Consumed", del 2014) dall’autore di Toronto e retaggio ebreo-lituano, e suo 6° in totale comprendendo i due (“Transfer” e “From the Drain”) girati nella seconda metà degli anni ‘60 prima dell’esordio nel lungometraggio con “Stereo”, e si situa tra “Maps to the Stars” del 2014 e “Crimes of the Future” del 2022, colmando così un gap di quasi 8 anni di assenza dal set come regista [mentre ha continuato a lavorare come attore, ad esempio, tra la varie interpretazioni, in un ruolo semi-principale per “Alias Grace” (scritta da Sarah Polley traendola da Margareth Atwood, diretta da Mary Harron e interpretata da Sarah Gadon), come personaggio secondario, ma ricorrente, in “Star Trek: Discovery” (in cui è l’unico, in un pur non totalmente disprezzabile cast, che riesce a tenere testa al potere distruttivo della cagnesca maledettitudine di Sonequa Martin-Green) e in “Slasher - Flesh & Blood”, e in un cameo per il debutto da regista e sceneggiatore di Viggo Mortensen in “Falling”], periodo durante il quale sono venute a mancare due figure cardine della sua vita: perché se in “the Death of David Cronenberg” egl’inscena da una parte tanto la propria morte quanto il proprio lutto, dall’altra pone in essere la stessa immane operazione di cordoglio a corpo aperto nei confronti dell’altrui dipartita: sua moglie Carolyn (1950), nata Zeifman, è morta nel 2017 e sua sorella Denise (1938) nel 2020 (ma tutto questo è un corollario extra-diegetico, la cui natura - l’atto di sopravvivere al proprio doppelgänger, al contempo manifestazione e ricettacolo di afflizione estirpato - non si evince dalla Cosa in Sé, che rimane a disposizione di ognuno per riconoscervi un po’ del proprio universale dolore particolare: "è-morta-una-parte-di-me"). Non-Fungible Token.

 

 

Intermezzo. Divergenze e Affinità: "Lazarus" di David Bowie da "BlackStar" (2016).

 

 

Impossibile non ripensare, pur se ad un livello del tutto - paradossalmente - terreno, e quindi privo di qualsiasi speranza, ché là c’era l’effettiva presenza della rinascita (“vivere, non è difficile, potendo poi…”, direbbe il poeta cantore), a un altro David, il Bowman che nella camera rococò situata dall’altra parte del portale/tunnel interstellare si vede invecchiare (in un misericordioso compendio della propria vita in terra straniera mondato dal tempo in “eccesso”) e morire, per poi (per l’appunto) trascendere verso un ulteriore grado dell’evoluzione post-umana. Là, dove neppure Bergman... Qua, no. Qui, rimangono i resti: due spoglie, scisse: una viva, una morta. “Quello che perde i pezzi” di Gaber in versione esistenziale e non psico-socio-politica. Quo Vadis, Homine.   

 

***¾ - **** (7.75)  

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