Regia di Giuseppe Bertolucci vedi scheda film
'Se non dovessi tornare sappiate che io non sono mai partita. Il mio viaggiare è stato tutto un restare. Qui, dove non fui mai.'
Giorgio Caproni
Il cinema è menzogna, verità e illusione. Lo sa bene Giuseppe Bertolucci, tra i più sperimentali, geniali e controversi autori cinematografici nostrani. In 'L'amore, probabilmente', film stralunato, complicato, eppure semplicissimo, fa filosofia pura, sotto forma di cinema. Diviso in tre fasi, chiamate appunto Menzogna, Verità e Illusione, il film è una lettera d'amore aperta e a cuore aperto al cinema, a tre attrici meravigliose della storia del nostro cinema, alla vita, all'amore e alle piccole cose. Sofia è un'attrice, e frequenta un corso di recitazione tenuto dalla grande attrice Mariangela Melato, che la convince che un attore deve sempre saper fingere. Sofia sperimenta questi insegnamenti nella vita reale finendo irrimediabilmente per compiere dei danni e compromettere i suoi rapporti con la maggior parte delle persone della sua vita. Sicchè Sofia fugge, e fuggendo raggiunge la Svizzera in treno, sul quale legge un articolo di giornale in cui Stefania Sandrelli afferma che un attore deve essere sempre vero e autentico. E anche stavolta sperimenta questa cosa nella vita reale, finendo inevitabilmente male, ancora una volta. Infine, torna a Roma per effettuare un provino, dove scopre anche il pensiero di Alida Valli, ovvero che l'attore è un illuso che illude. Film onirico, splendido, filosofico, leggiadro, che vola attraverso un universo digitale di cinema classico, con omaggi su omaggi alla nostra penisola in senso artistico, in un cinema di stampo rosselliniano, in cui l'illusione prende il sopravvento alla fine sulla verità e sulla menzogna, 'L'amore probabilmente', è il film migliore di Bertolucci: la summa di tutto il suo poetico pensiero, è un film vitale ed energico, vigoroso, che scava all'interno dell'uomo/attore, che recita una parte chiamata vita. La vita è un palcoscenico in cui si gioca, si ride e si piange, in cui si incrociano i destini delle persone, in cui è facilissimo rimanere influenzati da chi (per definizione) dovrebbe saperne più di noi. Giuseppe Bertolucci è, tra i nostri autori moderni, il più poetico, cinefilo e soprattutto inventivo. Nell'ennesimo film-riflessione, ricerca il senso di tutte le cose partendo dal senso dell'opera: il cinema. E nelle tre parti della sua riflessione, dà libero sfogo al suo pensiero, riuscendo a non cadere nelle banalità del caso, rispolverando un vecchio cinema che si credeva ormai perduto, ricordandoci di quanto il cinema, dicendoci la verità o mentendoci, ci inganni. Nel suo mondo, Bertolucci, come sempre si muove con fare cauto e leggero, non ci spinge troppo dentro e non ci fa rimanere troppo fuori. E' il film più maturo dell'autore, dopo i giochi con Benigni ('Berlinguer ti voglio bene') e Sabina Guzzanti('Troppo Sole') e la non riuscitissima pseudo composizione onirica di 'Il dolce rumore della vita'. Gioco di meraviglie, di arte pura, in rappresentanza di un cinema che è sia viaggio che meta, di un cinema che fonde la verità e la falsità della vita e la rappresenta in maniera sviscerale, deviata, profondamente filosofica, con attori in carne e ossa che sembrano fatti di aria. In due parole: un capolavoro.
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