Regia di Dan Berk, Robert Olsen vedi scheda film
Welcome Aliens, Become Humans.
Peccato, perché di possibilità (attori, ambientazione, musiche, effetti speciali, e persino “idee”, toh) ce n’erano per rendere questa specie di episodio pilota di una serie cui mai - date le premesse, sufficientemente bastevoli di per loro - vorremmo (plurale marchesedelgrillico) assistere un qualcosa in più di un pilot di un serial che mai eccetera eccetera: scritto e diretto dal duo composto da Dan Berk & Robert Olsen (in pratica il binomio Justin Benson & Aaron Moorhead senza quel qualcosa in più), già autori, dopo l’esordio di “Body” e il lavoro di mera messa in scena di “the StakeLander”, dell’altrettanto, se pur differente per tematiche portanti, canonicamente (e paradossalmente, se non considerato in seno al genere) convenzionale “Villains”, questo “Significant Other” - un “the Invasion of the Body Snatchers” (il romanzo di Jack Finney e le quattro versioni filmiche derivate) & “Under the Skin” & “Annihilation” in un contesto à la “Old Joy” (il Coast Range del Pacific North-West oregonense), o, piuttosto, un “Prey” & “HoneyMoon” & “Monsters” in zona/salsa “BackCountry” - parte bene, sfruttando il dispositivo alla base di “Columbo” (si sa già chi è il colpevole, in questo caso traslato in “cos’è il mistero”) per poi – a parte un momento quasi da mandare a memoria, ch’è la parte migliore del film, ovvero il plot twist rappresentato dal rientro in scena di *omissis / no spoiler* illuminato da Matt Mitchell (sodale da sempre della coppia artistico-lavorativa), ricucito da David Kashevaroff (“Them”, “X”) e ritmato a suon di violoncello metal torturato (in senso buono) da Oliver Coates (“AfterSun”, più “suonatore” per il summenzionato “Under the Skin” e “Phantom Thread”) – adagiarsi, ad esempio sfruttando sino allo sfinimento (ponendo in essere per ben 3, e dico tre, volte, per forza di cose - dato che il film ha dalla sua la brevità, contando s’un minutaggio, titoli di testa e coda esclusi, di poco più di un’ora e un quarto - ravvicinate, una dietro e appresso all’altra, un tentativo di spavento “convenzionale”, che non obbligatoriamente sta a significare un fallimento, a meno per l’appunto di non iper-inflazionarne/svalutarne l’utilizzo, inanellandole in affollata e folta schiera a distanza di pochi minuti fra loro) il meccanismo del (preteso) jump scare (ovvero: personaggio principale della scena in campo ripreso di schiena e MdP che gli si avvicina assumendo il PdV di un personaggio estraneo alla sequenza e… gulp!), rinunciando ad intessere un qualsivoglia intervento di ulteriore approfondimento narrativo tanto per contenuto/sostanza quanto per stile/forma.
Maika Monroe (“Bling Ring”, “Labor Day”, “It Follows”, “the Tribes of Palos Verdes”, “Bokeh”, “Greta”, “Tau” e “the Strangers”, oltre che già per/con Berk & Olsen nel succitato “Villains”), classe 1993 (e quindi con le variamente coetanee, in ordine sparso, Chloë Grace Moretz, Anya Taylor-Joy, Mia Goth, Florence Pugh, Elle Fanning, Dakota Fanning, Mia Wasikowska, Saoirse Ronan, Haley Lu Richardson e Imogen Poots facente parte della categoria "bionda impegnata nata dopo - con un paio di eccezioni di una manciata di mesi l'una - la metaforica/allegorica caduta/demolizione - vale a dire il termine della sua funzione strategica - del Muro di Berlino"), regge bene il peso, condiviso in larga parte con Jake Lacy (“the Office US”, “Carol”, “Girls”, “the White Lotus” e l’attualmente on air “A Friend of the Family”), di portare avanti la storia con la propria onnipresenza, e ha pure l’occasione, come in altre circostanze cinematografiche, di dimostrare le sue doti con le onde oceaniche (anche senza tavola da surf). Produce e distribuisce Paramount.
Bella l’astronavicella ovoidale parcheggiata occultata in spiaggia, ma un po’ meno “significant”, e molto “symptomatic”, in senso negativo (per il come, non per il cosa), lo scontro fra umana originale e copia aliena vinto dalla terrestre a colpi di panico, ansia e depressione. Mentre non può certo essere definito gratuito, dati gli argomenti post’in campo, l’utilizzo di “Space Oddity”, canzone però seconda solo a “Life on Mars?” in quanto a “vessazione” cui è costantemente e reiteratamente sottoposta dai più svariati e variegati fronti.
Welcome Aliens, Become Humans.
(**¾) *** - 5.875
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